Due «spine nel fianco» per D'Alema

Due «spine nel fianco» per D'Alema Le dimissioni di Siciliano e di altri due consiglieri: un duro colpo alla «Rai dell'Ulivo» Due «spine nel fianco» per D'Alema Guai giudiziari in vista per le coop rosse? RETROSCENA B TIMORI DELLA QUERCIA AROMA LLORA hai vinto...», sono le parole di saluto che Francesco Storace rivolge a Massimo D'Alema nel Transatlantico di Montecitorio. «Non potevano mica barricarsi là dentro senza il presidente - è la risposta del segretario pidiessino -. Del resto sono stati eletti come un unico organismo...». Mentre sull'altro versante del corridoio almeno una volta anche Walter Veltroni è d'accordo: «Sarebbe stato davvero singolare che dopo le climissioni del presidente gli altri consiglieri fossero rimasti al loro posto». La prima spina, cioè il crollo della Rai dell'Ulivo, D'Alema è riuscito ad estrarla «in extremis», prima che desse luogo ad un'infezione. Dopo le dimissioni di Siciliano il leader pds rischiava di ritrovarsi un cda Rai privo di un rappresentante della Quercia, sorretto da una strana maggioranza che metteva insieme prodiani, popolari e Polo. Malgrado le lusighe del Polo, però, il cda di viale Mazzini si è dimesso per due terzi - al loro posto sono rimaste solo la Mursia e l'Olivares - e, soprattutto, Romano Prodi ha mollato il direttore generale Franco Iseppi. Insomma, uno a uno, palla al centro. Certo la Rai dell'Ulivo ha ormai un'immagine sbiadita, irrecuperabile. Ma per D'Alema questo è un problema minore, visto che ha tentato per quel che ha potuto di non legare il suo nome alla gestione targata Siciliano e Iseppi. La seconda spina, quella più perfida, arriva con liturgia degli anni bui. Un tam-tam dalla procura di Milano fa sapere che con i nuovi arresti di Necci e Pacini Battaglia il Pool di Milano ha aperto un filone sulle Fs che potrebbe arrivare fino a grandi cooperative rosse. Inutile dire che qualcuno vede nel tempismo di questa iniziativa giudiziaria un attacco al Bottegone colpevole di non aver mobilitato le piazze per l'arresto di Previti e di non aver difeso fino in fondo il punto di vista dei magistrati in Bicamerale. Tanta dietrologia fa però inorridire il presidente della Bicamerale. «Queste sono stupidaggini - osserva mentre lascia la Camera - La verità è che questo è un paese assurdo... Basta non prenderlo sul serio». Vere o non vere queste ipotesi, un fatto, però, può far piacere anche a D'Alema: per la prima volta dopo tanto tempo il Palazzo della politica guarda alla procura di Milano, ma non strumentalizza i boatos. «C'è stata osserva Gianfranco Fini - la solita risposta... Vedrete che approvare le riforme non sarà una passeggiata ... dobbiamo creare un clima di solidarietà che duri almeno un anno». E quella parola, solidarietà, ritorna sulla bocca del forzista Giorgio Rebuffa e su quella di Franco Marini, condita da una presa d'atto: «Questo è ancora un Paese tenibile». Eh sì, quelle due spine che riguardano argomenti del tutto diversi dimostrano quali scontri si preparano dentro e fuori il Palazzo nell'anno che si è appena aperto. Nel contempo, però, danno la conferma che in questo momento nessuno ha intenzione di rompere il quadro politico che dovrebbe aprire la strada alle riforme. Né nel gover- no, né nella maggioranza, né nell'opposizione. Questo non significa che nei prossimi mesi mancheranno manovre, battaglie. Ma, di sicuro, non supereranno il limite di guardia, non provocheranno mai una rottura definitiva. Questi due giorni in Rai ne sono la dimostrazione più lampante. Il Polo ha fatto di tutto per inseririsi, ad esempio, nello scontro tutto interno alla maggioranza. Raccontava ieri pomeriggio Storace, quando le dimissioni del cda ancora non si erano consumate: «Io sono andato dai presidenti delle due Camere facendogli credere che sono interessato al rinnovo di tutti i consiglieri. Gli ho spiegato che nelle nuove scelte debbono tenere conto anche di me. In realtà noi del Polo siamo pronti a tenere in piedi questo cda privo di un rappresentante della Quercia». E che questo disegno fosse in atto lo dimostra il tentativo di tino dei consiglieri, Fiorenza Mursia, di convincere la Cavani e Scudiero a non rassegnare le dimissioni. Ed ancora, il fastidio dei popolari per la posizione dei pidiessini, oppure l'irritazione di Nicola Mancino per i toni della dichiarazione con cui Fabio Mussi ha chiesto a tutto il cda di andar via: «Ma chi pensa di essere quello?». A disinnescare un'operazione che poteva mettere in tensione il quadro politico è stato, però, lo stesso Prodi che l'altro ieri aveva fatto di tutto per rassicurare D'Alema nell'incontro di Palazzo Chigi: «Guarda - aveva spiegato il Professore al suo interlocutore - che io sono un amico di Iseppi, ma lì finisce. Non ho avuto mai nessuna intenzione di egemonizzare la Rai...». Parole frutto di furbizia democristiana che comunque contengono un dato politico: la Rai sarà pure ima partita im- i o n l di e ao di lda uo co ueto oim- portante, ma per il premier non vale una rottura con 0 maggior partito di governo. Altra spina, altro pericolo per D'Alema. Anche se il leader pds la fìnta di niente, è chiaro che nei prossimi tre mesi, se le riforme andranno avanti, potrebbero esserci dei momenti di tensione tra Botteghe Oscure e il mondo della magistratura. Il tam-tam arrivato ieri da Milano è stato interpretato anche nell'Ulivo come un primo segnale. «Si stanno già vendicando...», è l'unico commento che si è lasciato sfuggire Marco Boato. E l'interpretazione non è stata rifiutata del tutto neppure da Guido Calvi, senatore pidiessino e difensore di fiducia del Bottegone. «Non so se queste voci su una nuova inchiesta sulle cooperative rosse sono vere o no - ha confidato alla buvette di Montecitorio ma il fatto che vengano fuori dopo che il Parlamento ha detto no all'arresto di Previti e alla vigilia dell'approdo in aula delle riforme, è una cosa che fa pensare. Io, comunque, penso che l'ondata giustizialista nel nostro Paese è finita davvero. Vivaddio. E' cambiato il clima e chi non se ne rende conto si sta facendo delle illusioni...». E' cambiato il clima: piano piano anche la Quercia sta maturando questa convinzione. Per cui quei segnali di fumo che arrivano da Milano preoccupano, ma non terrorizzano come una volta. I magistrati non fanno paura come prima, come non fa più paura Di Pietro, redarguito l'altro ieri dall'intero vertice del pds per quel maldestro appello alla piazza sul caso Previti. E già, il pds fa parte ormai a pieno titolo dell'establishment di questo Paese e l'establishment ha deciso che bisogna porre termine alla transizione;, chbisogna tornare alla normalità. Ormai molti ne sono consapevoanche al Bottegone: ieri pomeriggimentre passeggiava su piazza Montecitorio Antonio Bargone, il sottosegretario pidiessino che da semptiene i collegamenti tra D'AlemaDi Pietro, si è visto porre questa dmanda da Francesco Sapio, l'ambsciatore del Quirinale presso il pd«Ma come fai ad andare dietro a DPietro?». Augusto Minzolini Il leader del pds «Ormai questo è un Paese assurdo ma basta non prenderlo sul serio» Fini: per le riforme dobbiamo riuscire a creare un clima di solidarietà che duri almeno un anno Nella foto a sinistra il segretario del pds Massimo D'Alema Qui accanto il vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni

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