Quell'amicizia pericolosa

Quell'amicizia pericolosa Quell'amicizia pericolosa Tutti ipatti fra Chicchi e ilMagnifi OSCENA IL BANCHIERE i IL BOIARDO E MILANO due. Non è la prima volta che il banchiere di Bientina e il top manager di Stato di Fiuggi, finiscono nello stesso fascicolo giudiziario. Di loro, insieme, si era già occupata la procura di La Spezia. Con i magistrati Alberto Cardino e Silvio Franz che si erano messi a fare le pulci al rapporto tra Pierfrancesco Pacini Battaglia detto Chicchi e Lorenzo Necci, detto il Magnifico. «Dalle carte dell'inchiesta appare evidente che Necci non aveva contatti con quella gente», giurava l'avvocato dell'amministratore straordinario delle Ferrovie dello Stato, arrestato il 15 settembre '96 con un ordine d'arresto lungo così: associazione per delinquere, corruzione aggravata, peculato, abuso d'ufficio, falso in comunicazione sociale, truffa in danno delle Ferrovie. Dalle carte in mano alla procura di Milano, oggi apparirebbe l'esatto contrario. Non solo Chicchi e il Magnifico si conoscevano, ma avevano pure qualche interesse comune. Sette miliardi e cinquecento milioni o giù di lì, promessi, secondo l'accusa, per oliare i politici - e i vertici delle FF.SS - purché approvassero il progetto per la realizzazione di uno scalo ferroviario nell'hinterland milanese. «C'è una cupola di affari e tangenti», scrivevano i magistrati di La Spezia, sostenendo che c'erano le prove, per mettere in relazione Pacini e Necci. E tutti gli altri. Il ruolo di Pacini era quello di sempre. Mediatore, colui che fornisce il logistico, tramite d'affari per via di quella sua banca ginevrina, la Karfinco, dove è passata parte della maxi tangente Enimont e chissà cos'altro ancora. Tanto che il giudice Italo Ghitti che aveva firmato il suo pri- mo arresto all'alba di Tangentopoli, 10 marzo '93, lo aveva definito «un gradino appena sotto Dio». Di più, di Pacini, avevano scritto solo i magistrati di La Spezia. Quando vevano definito Lorenzo Necci «succube» di Chicchi. Per via di quei 20 milioni al mese che il banchiere di Bientina avrebbe dato a Necci. Quei 20 milioni, per Cardino e Franz, sarebbero stati la prova della corruzione. Per Necci, erano solo un «prestito di qualche integrazione per vivere», aveva messo a verbale lui. Ma a sor- presa, la Cassazione annulla l'ordine di custodia cautelare in carcere. Lo fa il 7 marzo '97, mentre il processo di La Spezia ha già preso altre strade, è approdato a Perugia perché in ballo ci sono magistrati corrotti. La motivazione è di quelle semplici: «Totale insussistenza degli indizi». E così si chiude il capitolo dei sessanta giorni di detenzione di Necci a La Spezia, nel carcere vicino alla ferrovia. Talmente vicino che i treni fischiano quando passano, e i macchinisti augurano la buona notte al loro amministratore delegato. Quello che conta è questa mazzetta ferroviaria che i magistrati del pool di Milano stanno passando, da mesi, al microscopio. Tanto da chiedere una raffica di arresti. E se Pacini se ne va nel carcere di Opera, Lorenzo Necci è obbligato a non abbandonare la sua villa di Marina Velca, a un passo da Tarquinia. Accusato per la seconda volta da un gip, questa volta di Milano, che gli contesta «atti contrari ai doveri d'ufficio», [f. p.] I magistrati della Spezia parlarono di «una cupola» Le altre indagini a Brescia e Perugia ona ancora co Colonnello magistrati, il partito delle procure si rivolge direttamente al presidente della Bicamerale l'attuale inchiesta risalgono ai primissimi tempi di Mani puli-olosa Magnifi banchiere er ancesco cini ttaglia I maparlaLe ala Bre Il banchiere Pier Francesco Pacini Battaglia