L'ingombrante fantasma di Santa Clara di Gabriele Romagnoli

L'ingombrante fantasma di Santa Clara L'ingombrante fantasma di Santa Clara Confronto simbolico tra due eroi del nostro tempo SANTA CLARA DAL NOSTRO INVIATO Centomila persone, la presenza del Papa e il fantasma del Che a Santa Clara. Anche il luogo scelto per il rito favorisce l'evocazione. Il campo di atletica, riempito da un flusso ininterrotto, è là sotto, popolato di ragazzi in divisa bianca e gialla e di famiglie che avanzano sventolando le insegne di Cuba e del Vaticano, contribuendo a fare di questo giorno una tappa che si vorrebbe storica, ma questa collina da cui li si osserva è già la storia. Questa è «loma del capirò» da cui Guevara con i suoi uomini partì all'assalto del treno blindato, compiendo l'azione che avrebbe spianato la strada alla conquista di Santa Clara. Era il 29 dicembre del 1958, era da poco passato mezzogiorno, come ricorda José, il giovane messo di guardia al monumento eretto a perenne memoria di quella missione. Rievocarla è il suo rito personale e lo fa con espressioni da parabola evangelica: «Si assegnò in quel tempo al comandante Guevara la missione di condurre una colonna ribelle dalla Sierra Maestra a queste province...». E oggi, José? Che missione ha questa colonna di gente senza armi che sfila lungo i binari della ferrovia designata dal Che come obiettivo, lasciandosi alle spalle l'Hotel Santa Clara Libre, un tempo Grand Hotel, sulla cui facciata resistono le cicatrici delle pallottole che, nel capodanno del '59, costrinsero i suoi occu- panti alla definitiva resa? E', anche questa, una colonna ribelle al sistema di governo figlio di quella battaglia e di quella rivoluzione? José scuote il capo: «Questa è e sempre sarà la gente del Che. Davanti al mausoleo del comandante c'è una scritta. Dice: Una stella ti condusse qui e ti fece di questo popolo. Lui è di questo popolo e questo popolo è suo. Ascolterà solo un messaggio che assomigli al messaggio del Che. Se questo Papa viene a parlare di giustizia sociale, a schierarsi dalla parte dei poveri e dei diseredati, sarebbe venuto anche lui». La colonna di Santa Clara è in marcia dalle sei, come quella del Che, quando dall'università si mosse alla conquista delle fortificazioni nemiche. Questa volta va semplicemente alla conquista di un'al¬ tra possibile visione del mondo. La muove, più che un'ideale, la curiosità. Si accalca per avere il santino commemorativo con l'immagine di Giovanni Paolo II, ne fa incetta, pensando che possa acquistare valore nel tempo. Osten¬ ta in gran numero, accanto alle magliette del Che, quelle dei Florida Marlins, la squadra di baseball di Miami campione degli Stati Uniti in cui giocava da lanciatore il cubano Livan Hernandez. Approfitta del giorno di sole e di libertà, in cui gli impiegati statali hanno la giornata pagata, per stare vicina in questa inedita «fiesta». Una famiglia di campesinos è arrivata da Cien Fuegos: «Non siamo cattolici, però questa era una occasione unica, vedremo il Papa e dopo andremo al mausoleo dove sono custoditi i resti del Che». Delle due occasioni è sicuramente la seconda quella a cui attribuiscono un valore sacro. Il Papa, fuori della cerchia dei due-tre mila cattolici convinti piazzati al centro del campo sportivo, è uno sconosciuto: ignota è la sua storia e le battaglie che ha combattuto, misteriosi i valori che indica ai suoi seguaci. Anche i cerimoniali della giovane Chiesa cubana sono scrutati, più che osservati. Quando dal palco si cominciano a gridare gli slogans che accompagnano il passaggio di Giovanni Paolo II, sono in pochi a fare il coro. I lavoratori delle piantagioni di tabacco e quelli dell'industria elettrodomestica di Santa Clara si guardano tra loro chiedendosi quale sia piuttosto il messaggio sociale che questo Papa è venuto a portare, se abbia una risposta alla crisi economica che fa soffrire tutte le famiglie della provincia. «L'istituzione famigliare a Cuba è depositaria di un ricco patrimonio di virtù», dice poi Wojtyla all'inizio della sua omelia, prima di lanciarsi nella perorazione contro l'aborto. «Si deve procurare, inoltre, alla famiglia una casa dignitosa». La gente ascolta attenta, ma vorrebbe sapere come. Il Che aveva un piano di battaglia che raggiunse, qui almeno, l'obiettivo che aveva indicato. Questa società, figlia delle sue vittorie, è la sua sola sconfitta, ma non è lui, oggi, a patirla. Nella piazza dove il suo monumento si staglia contro il cielo hanno rinunciato alla messa perché il suo fucile sarebbe stato puntato contro il palco papale e troppe immagini avrebbero colto la prospettiva. In questo campo dove è stata celebrata la cerimonia, la sua presenza è comunque immanente e poco importa se, a un chilometro di distanza, il suo mausoleo per questa mattina è deserto e la guardia passeggia solitaria tra i cubi di pietra. José, sull'alto della collina, guardando la «Papamobil» andarsene, commenterà: «Il Papa passa il Che resta per sempre». Almeno a Santa Clara. Gabriele Romagnoli

Persone citate: Giovanni Paolo Ii, Guevara, Hernandez, Wojtyla

Luoghi citati: Cuba, Miami, Stati Uniti