«Orgoglioso dei miei 24 anni a Torino »

«Orgoglioso dei miei 24 anni a Torino » «Sono sereno, però lasciare mi commuove» «Creato uno staff super» «Orgoglioso dei miei 24 anni a Torino » Romiti: la politica mi appassiona, ma non scendo in campo INTERVISTA IL CAMBIO DELLA GUARDIA AL LINGOTTO SEGUE DALLA PRIMA ROMA OPO un quarto di secolo... E' tanto, eh?», riflette Romiti. «La cosa più giusta me l'ha detta Gianni Agnelli: Romiti, la Fiat ha 100 anni di vita, e lei gliene ha dedicati 24. Un quarto della storia di questa azienda è legata a me, al mio nome, alle cose che ho fatto. E tanta parte della mia vita è legata a questa azienda, alla quale ho dato tutto, con i successi, gli errori, qualche amarezza, qualche rimpianto...». Perché ha deciso di lasciare a giugno, dottor Romiti? «Non è stata una scelta a sorpresa, nessuno si può o si deve stupire per questo. Io avevo parlato due volte, di questa questione della successione: una prima volta, all'assemblea degli azionisti nel giugno del '96, per dire che avrei lasciato la presidenza alla data stabilita, cioè a giugno di quest'anno; e una seconda volta l'anno scorso, per confermare che su questo punto non avevo niente di nuovo da aggiungere. Insomma, non è un fulmine a ciel sereno, ma una decisione meditata da tempo da parte mia, e concordata con Gianni Agnelli e con i principali azionisti già dall'estate scorsa». Eppure - nonostante la norma dello statuto Fiat voluta dall'Avvocato, secondo la quale un manager a 75 anni deve lasciare gli incarichi operativi - proprio in estate era circolata l'ipotesi di un prolungamento del suo «mandato». Non è così? «E' vero, in agosto c'era stato un supplemento di riflessione, ed io ero stato invitato a riconsiderare la mia decisione: in fondo, il mio mandato consiliare sarebbe scaduto non quest'anno, ma nel '99...». Appunto: come mai questa ipotesi è stata scartata? «Vede, già allora io spiegai all'Avvocato quello che ripeto oggi: credo nella coerenza, come uomo e come manager. E per me coerenza vuol dire questo, rispetto alla Fiat: quando si assumono degli impegni precisi, con gli azionisti, con i dipendenti, con i mercati finanziari e con l'opinione pubblica, vanno rispettati sempre e comunque»: E gli azionisti, l'Avvocato, sono stati tutti d'accordo? «Ogni decisione l'abbiamo sempre affrontata, discussa e alla fine condivisa, tutti insieme». Un'altra ragione che lasciava pensare a un prolungamento del mandato fino al '99 era la scadenza del centenario Fiat: viverlo da presidente, anche se per l'ultima volta, avrebbe rappresentato per lei e per l'azienda, alla quale ha dato tutto, il degno compimento di un destino comune, così intrecciato, così identificato. «Non le nascondo che al centenario della Fiat attribuisco davvero una grandissima importanza. E non le nascondo che mi avrebbe anche appagato, l'idea di essere presente, in quella celebrazione per così dire storica, nella mia posizione attuale. Ma le ragioni della coerenza e della correttezza fanno premio anche su questo». Lei disse: ci vuole più coraggio a lasciare un incarico, che a durare. E' così anche oggi? Cosa si prova, in momenti come questi? «Sono sereno, sono tranquillo per me stesso e per l'azienda. Ma è verospecie se hai avuto successo e ottenuto risultati, il momento del distacco per la vita di un uomo dà malinconia. E se proprio vuole farmelo dire, anche un uomo come me, che all'esterno è descritto come un duroun freddo, oggi si commuove». Ma non mancheranno interpretazioni e giudizi un po' maligni. Che ha da replicare? «Che vuole, in venticinque anni trascorsi in prima linea ne ho viste sentite di tutti i colori, ho vissuto tanti momenti belli, ma anche brutti: ci fai il callo. Tanto in momentdel genere non è questo che conta».E cosa, allora? «Contano le ragioni che, oggi, mconsentono di annunciare il micommiato dalla Fiat da giugno coun po' di nostalgia, ma come le hdetto con tanta serenità. Conta, cioèil fatto che dopo un quarto di secolio lascio ima squadra formidabileEcco, se per una volta voglio peccare di immodestia, il maggior meritche mi attribuisco, in questa mistraordinaria avventura nella Fiat, quello di aver creato in azienda ugruppo dirigente di altissima levatura professionale, invidiabile non solo nel panorama italiano, ma anchin quello internazionale. Il maggiomerito che mi attribuisco, e che mdà serenità, è il fatto di lasciare i«Paolo Freconcordate degna dPer lui par azienda uomini come Paolo Cantarella, che mi è stato vicino fin da quando era mio assistente, negli Anni 70, e che mi ha seguito in tutta la parabola Fiat». Nel libro di Pansa su «Questi anni alla Fiat», lei raccontò appunto l'inizio di quella parabola: nel '74, quando arrivò in Fiat, non c'erano i soldi per pagare gli stipendi. ((Infatti, e questa è l'altra ragione per la quale lascio con grande serenità. E' vero, nel '74 la prima cosa che dovetti fare fu cercare i fondi, perché in azienda non si arrivava alla fine del mese. Se guardo a quel passato, mi sento fiero di ciò che ho fatto. Se guardo ai numeri - specie a quelli che illustrerò nella lettera agli azionisti, dalla quale emerge un gruppo in gran salute - traccio un bilancio eccezionale, di questi miei anni alla Fiat». Ce lo riassume, dottor Romiti, questo bilancio in cifre? «Quando entrai la Fiat fatturava 3000 miliardi, oggi siamo a quota 90 mila. Arrivai nel pieno dello shock petrolifero e della guerra del Kippur, che causò le conseguenze terribili per l'economia mondiale che tutti conosciamo. In quegli anni terribili, tra il '74 e 1*81, cominciavamo dentro la Fiat una durissima stagione di risanamento, mentre fuori succedeva di tutto: infuriava il terrorismo, dilagavano le lotte sindacali. Da allora, e a prescindere dalla crisi congiunturale del '92/93, la Fiat ha re- gistrato una crescita forte, continua: partivamo da un patrimonio netto di meno 1000 mmardi nel '74, oggi siamo a oltre 30 mila miliardi, con un utile ante-imposte di oltre 4 mila miliardi. Ecco, se penso a tutto questo, la malinconia si attenua: sono entrato in un'azienda che 25 anni fa aveva una dimensione poco più che nazionale, a giugno dirò addio ad un gruppo mondiale, capace di competere in tutti i settori, forte sul mercato domestico ma proiettato sul mercato globale». Il saldo oggi è attivo, ma i costi, umani e industriali, talvolta nel tempo sono stati molto elevati. Non è così? «Sì, è così, ma andavano pagati, anche se non è stato piacevole per nessuno. Era necessario ristrutturare il gruppo soprattutto in quei primi anni, trasformarlo da azienda unica in tante società. Ho dovuto alienare partecipazioni in società come la Grandi Motori Trieste, l'Aeritalia, le Acciaierie di Piombino, per riportare la Fiat nel suo alveo industriale d'origine. Non è stato facile». Se guarda alle sue spalle, quali sono stati i momenti e le scelte che ricorda con soddisfazione? «Sarebbe troppo lungo elencarli tutti. Le sembrerà curioso, ma ci sono due iniziative, non di carattere strettamente industriale, che a ripensarle oggi mi hanno dato un grande piacere. La prima è stata quella di acquistare Palazzo Grassi e di trasformarlo in un grande centro museale. Non ci credeva nessuno, e invece si è rivelata uno straordinario successo, che ha fatto identificare il gruppo Fiat con la cultura del suo Paese: oggi Palazzo Grassi è una realtà culturale, riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo». E la seconda? ((E' stata la decisione, che presi nell'82, insistendo molto con gli azionisti, di rilanciare il Lingotto, un monumento storico per l'industria nazionale, che non poteva, non doveva morire. Ecco, oggi che il Lingotto è rinato, e che io ci vivo ogni giorno, mi affaccio da quelle vetrate, osservo quelle straordinarie architetture del passato, eppure così moderne, e mi sento orgoglioso». Giriamo la medaglia, parliamo di amarezze. «Ce ne sono state tante...». Quali hanno inciso di più? «Nonostante tutto quello che è accaduto negli anni successivi, per me la stagione tra il '76 e l'80, gli anni del terrorismo, resta la più terribile: le Brigate Rosse spargevano sangue per l'Italia, gambizzavano i nostri dirigenti, ammazzavano la nostra gente, come l'ingegner Gliiglieno e il vicedirettore della Stampa Casale gno. Fu un periodo tremendo, per me resta il peggiore della mia vita in Fiat». Da questo sguardo sul passato non può essere esclusa la vi cenda giudiziaria, recente, ma non meno dolorosa. «Certo, è stata una vicenda molto dolorosa sul piano personale, una vicenda che su di me ha lasciato un segno...». Non ha influito anche questa vicenda, dalle inchieste al nuovo rinvio a giudizio per il caso Intermetro, nella sua decisione di non prolungare la sua permanenza in Fiat? «No, assolutamente no. Non ha in fluito né su di me, né sulle valuta zioni dell'Avvocato e dei principali azionisti. Non c'è dubbio che i fatti accaduti siano stati caratterizzati da molta amarezza. Ma anche, dal mio punto di vista, da molta ingiustizia. E io lo ripeto un'altra volta: credo fermamente nella giustizia, e quando avrò modo di confrontarmi con i giudici sono convinto che riuscirò a dimostrarla, quell'ingiustizia». Restano rammarichi, lo ha detto anche lei poco fa. Quali? Cosa farebbe oggi, come uomo e come manager, che invece non ha fatto in questo quarto di secolo? «Sì, un rammarico resta. All'inizio degli Anni 90 trattammo con la Chrysler, per un'alleanza mondiale. Operazione •the affrontai con molta convinzione: densa di rischi, ma anche di opportunità. Nel giudizio degli azionisti, i primi prevalsero sulle seconde. Col senno di poi, mi domando: cosa sarebbe accaduto, se avessimo avuto il coraggio di farlo, quell'accordo?». E quale risposta si dà? «La Fiat, oggi, sarebbe molto più grande». Cosa ha fatto invece in questi anni, che pur avendo causato polemiche e lacerazioni, sarebbe pronto a rifare? «Sono molte le decisioni di un manager che creano conflitti. Se devo proprio ricordarne una, malgrado tutte le critiche che suscitò quella strategia, oggi sarei pronto a rifare tutte le scelte, anche difficili, dirompenti a livello aziendale, che feci nella prima metà degb' Anni 80, quando la fabbrica era diventata ingovernabile, ed eravamo stretti nella morsa dei sindacati e della politica». La famosa cacciata dei «sessantuno», i violenti di Mirafiori, poi l'annuncio dei 14.469 licenziamenti, lo scontro aperto col sindacato, la ristrutturazione finanziaria del gruppo. Insomma, l'inizio della «linea dura» in Fiat, propria per un uomo e un manager come lei, considerato ((duro» per eccellenza, no? «Ma vede, io, anche con i miei collaboratori, in tutti questi anni non ho mai professato la "durezza" come valore. Essere duri non è un principio, un "bene in sé". Io ho sempre detto, a me stesso e alla mia squadra, che occorre avere il coraggio delle proprie scelte, anche se sono rischiose o impopolari. Alla lunga, se sono oneste e meditate, si rivelano vincenti. Non a caso, subito dopo quelle decisioni dell'80 ci fu la marcia dei 40 mila, che per me, nonostante le altre soddisfazioni avute, nella sua drammaticità resta forse uno dei momenti più entusiasmanti della mia storia in Fiat». La consacrò, quel momento, come un ((falco», duro e vincente. Fu la fine di una strategia sindacale, quella del conflitto di classe... «Vede, non fu un momento bello soltanto perché fu una vittoria. Non è questo: è che in quel momento, e con quella marcia, finì un incubo durato 35 lunghissimi giorni, si capì che, senza quella svolta, la Fiat sarebbe morta. Quella marcia segnò appunto la svolta: si doveva tornare a lavorare, c'era tanta gente che non «Tra me e Gc'è un rappnelle vicenLo si vede d voleva che la Fiat morisse. Quella marcia ha cambiato la storia, della Fiat e forse dell'intero Paese». Apriamo un altro capitolo, di cui è stata intrecciata la sua parabola di questi anni, e soprattutto di questi ultimi mesi: Romiti e la pobtica... «A livello personale, cioè come cittadino Romiti, la politica mi interessa, direi che a volte mi appassiona, persino». E infatti, da mesi si continua a ripetere che lei stia per fare il grande passo, emulando Berlusconi. E' vero o no? «Non le nascondo che, in certi momenti anche recenti, ho ricevuto sollecitazioni...». Inutile chiederle di chiarire da parte di chi, giusto? ((Appunto, è inutile». E come ha risposto? E soprattutto come risponde, adesso che si profila a giugno il suo disimpegno dalla Fiat? «Ho risposto e rispondo col sorriso sulle labbra: sono un uomo d'azione, un uomo d'impresa. Penso di aver fatto bene quello che ho fatto». Allora: se Romiti da giugno non farà politica, cosa farà? «Mi dedicherò a qualche altra cosa, ma sempre nell'ambito di ciò che ritengo di saper fare meglio». Ci sono già molte voci sul suo futuro di manager... «Non rispondo alle clùacclùere. Anche perché fino a giugno il mio orizzonte non cambia: mi occupo della Fiat, e di nient'altro». Poi toccherà a Paolo Fresco. Lei che pensa, del suo successore? «Mi pare che per lui parli la sua carriera, di avvocato, di uomo d'affari, di capitano d'industria, che oggi lo ha portato ad essere il secondo uomo sotto il mitico Welch, grande manager di caratura mondiale. Mi sembra una scelta eccellente, degna di un gruppo come la Fiat. D'altra parte, anche questa l'abbiamo concordata, passo passo, con l'Avvocato». Ultima domanda, proprio sull'Avvocato. Agnelli e Romiti: le è possibile riassumere adesso il vostro rapporto? «In questi anni, l'Avvocato è la persona che mi è stata e che ho sentito più vicina, in ogni momento. Lui ed io ci siamo "vissuti" l'uno con l'altro, ogni giorno, in azienda e nella vita. E' stato un rapporto - sempre basato sulla simpatia, la stima e il rispetto reciproco - che forse non ha eguali nelle vicende imprenditoriali di questo Paese, e che lascia il segno sul piano umano e dei risultati. E sono queste le cose che restano. Lo dissi a Pansa, lo ripeto a lei oggi: dura nel tempo soprattutto ciò che abbiamo costruito. Ed io, insieme all'Avvocato e a tutta la grande squadra della Fiat, penso di aver costruito qualcosa». Massimo Giannini «Tra me e Giovanni Agnelli c'è un rapporto che non ha eguali nelle vicende imprenditoriali Lo si vede dai risultati raggiunti» «Paolo Fresco? Scelta eccellente concordata con l'Avvocato e degna di un gruppo come questo Per lui parla la sua carriera» Le due decisioni più belle? Riacquistare Palazzo Grassi a Venezia e rilanciare la sede del Lingotto La stagione più terribile? Dal 76 all'80 negli anni bui del terrorismo» «Il maggior merito che mi attribuisco e che mi dà serenità, è il fatto di lasciare in azienda uomini come Cantarella, che m'è stato vicino fin da quando era mio assistente» CHI COMANDA IN FIAT ) VICEPRESIDENTE GIANLUIGI GABETTI É AMMINISTRATORE DELEGATO PAOLO CANTARELLA w^4 PRESIDENTE I ■ CESARE ROMITiy ^ PATTO DI SINDACATO Il Gruppo Fiat è controllato da un patto di sindacato che scadrà nel 1999. E' composto da Ifi-lfil che vi hanno apportato il 22,14% delle azioni ordinarie [in totale ne detengono il 33% circa], Mediobanca [3,19%], Generali [2,42%] e Deutsche Bank [2,39%] CONSIGLIO D AMMINISTRAZIONE Il consiglio d'amministrazione è composto da John Elkann (che, da poche settimane, ha sostituito lo scomparso Giovanni Alberto Agnelli), Henry Cari, Marlin Bodmer, Paolo Fresco, Gobriele Galateri di Genola, Franzo Grande Stevens, Gianfranco Gutty, Franck Riboud e Ulrich Weiss. Il direttore finanziario è Francesco Paolo Mattioli. SETTORI I PRINCIPALI SETTORI DI ATTIVITÀ' DEL GRUPPO FIAT ED I RISPETTIVI RESPONSABILI 0® AUTOMOBILI Fiat Auto [Roberto Testore] VEICOLI INDUSTRIALI beco [Giancarlo Boschetti] MACCHINE PER L'AGRICOLTURA E LE COSTRUZIONI New Holland [Umberto Quadrino] 4 □ PRODOTTI _ METALLURGICI £| Teksid [Piero Maritano] COMPONENTI Magneti Morelli [Domenico Bordone] MEZZI E SISTEMI DI PRODUZIONE Comau [Paolo Marinsek] AVIAZIONE Fiat Avio [Pier Giorgio Romiti] PRODOTTI E SISTEMI FERROVIARI Fiat Ferroviaria [Gianni Coda] CHIMICA-FIBRE BIOINGEGNERIA Snia Bpd [Umberto Rosa] INGEGNERIA CIVILE Fiatimpresit [Ugo Montevecchi] EDITORIA E COMUNICAZIONE Itedi [Alberto Nicolello] ASSICURAZIONI Toro Assicurazioni [Francesco Torri] e» «Crea«Il d Qui accanto il presidente della Fiat Cesare Romiti Nella foto a sinistra i fratelli Giovanni e Umberto Agnelli

Luoghi citati: Genola, Italia, Roma, Torino, Trieste, Venezia