Di Pietro: come ai tempi del «decreto Biondi»
Di Pietro: come ai tempi del «decreto Biondi» Di Pietro: come ai tempi del «decreto Biondi» LA RABBIA DELL'EX PM LROMA A conta? Vabbé lasciamo la parola così, senza specificare, poi ognuno la interpreterà come gli pare». Seduto su un divanetto nell'ufficio del presidente della commissione Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio, l'altro ieri sera, Antonio Di Pietro ha risposto con queste parole a quanti, dentro la riunione, gli chiedevano delucidazioni sul comunicato che aveva appena finito di scrivere. Una replica indicativa. Testimonia dell'imbarazzo dell'ex magistrato, che ancora non ha deciso quali pesci prendere: «Non posso rompere i rapporti con D'Alema», ha confidato più tardi il senatore del Mugello a qualche amico che gli domandava perché fosse tanto cauto. Sarà sempre per questa ragione che Di Pietro, ieri, dopo aver promesso un'intervista al Tgl, ha preferito rinunciare? Probabile, visto che di fronte alle telecamere ripetere ciò che aveva detto lì dentro («siamo come ai tempi del decreto Biondi») non sarebbe certo servito a consolidare i suoi rapporti con il leader della Quercia. Le esternazioni pubbliche meglio farle su Bossi, minacciandolo di sfilargli l'elettorato, dopo l'errore del voto su Previti. La «conta», peraltro, in Parlamento non è andata un granché bene. Quel documento ha raccolto pochissime firme oltre a quelle già in calce. Avrebbero aderito un altro pidiessino, Di Capua, l'ex pattista Elisa Pozza Tasca e il cognato di Di Pietro Gabriele Cimadoro. Probabilmente arriverà qualche altra adesione, ma niente di più. Giovanni Bianchi, ex presidente del ppi, si è rifiutato di sottoscrivere quel comunicato. Altrettanto dicasi di Federico Orlando e Tana de Zulueta. E Nando Dalla Chiesa, invitato alla riunione, ha preferito disertare l'appuntamento. Mentre alcuni dei partecipanti, i deputati della sinistra democratica Olivieri, Sciacca e Di Stasi, hanno preso le distanze da ogni ipotesi di petizione o di operazioni «anti-Bicamerale». Il «neofita» Massimo Ostillio, ex ecd, ora gruppo misto, invece è andato controcorrente. Si è arrabbiato perché non gli hanno chiesto la firma, ma quando quelli della Rete gli hanno fatto osservare che lui aveva votato contro l'arresto di Previti, Ostillio non ha avuto molti argomenti per controbattere. Nel palazzo, quella riunione serale, non è stata presa troppo di buon occhio. Prodi si è tirato fuori dalla polemica: «La proposta di Di Pietro? Non so di che state parlando. Non commento». I pidiessini Mussi e Folena hanno criticato la sortita dell'ex pm. «Il surf sull'onda dell'indignazione rischia di essere demagogico e di produrre effetti negativi», ha osservato il primo. E il secondo ha aggiunto: «Non bisogna avere posizioni fuori misura». Il presidente della commissione Giustizia della Camera Giuliano Pisapia ha definito la conta «pericolosa per la democrazia». Irridenti le reazioni del Polo, con Casini («Di Pietro non è nemmeno il portavoce del pool») e La Loggia («l'ex pm è un demagogo»). Un consenso a metà è venuto da Bertinotti, favorevole ai quesiti separati per il referendum finale sulle riforme costituzionali, ma contrarissimo alla «pericolosa tesi del plebiscito». L'unico che ha aderito senza riserve è stato Rauti. Niente consensi nel palazzo, ma piazze stracolme? Ieri a protestare davanti a Montecitorio c'erano i Cobas del latte e non il «popolo di Mani Pulite». Ma il retino Occhipinti ha assicurato che stanno arrivando moltissimi fax». E Pecoraro Scanio ha proposto di raccogliere un milione di firme in difesa di Mani pulite. L'esponente verde ha ipotizzato pure la nascita, a breve, del movimento di Di Pietro (stando alle indiscrezioni, una bozza programmatica è già pronta). Probabilmente, però, aveva ragione il pidiessino Cesare Salvi, che ieri osservava: «Io parlo con Di Pietro e non con i dipietristi e le due cose non sempre coincidono». Già, perchè nella riunione dell'altro ieri sera, il primo a «frenare» i più irruenti è stato proprio il senatore del Mugello. E' stato duro a parole: «Se non si danno chiare risposte politiche in tempi brevissimi - ha detto - il lavoro di Mani pulite viene delegittimato. Serve un fronte in grado di difendere quell'esperienza. Dopo questo voto si va allargando la forbice tra Parlamento e cittadini. Siamo come ai tempi del decreto Biondi». Però Di Pietro nel comunicato è stato molto più morbido, come, del resto, ha pure evitato, nel corso della riunione, di entrare nel merito delle possibili future iniziative. Pesante, all'esterno, l'ex pm lo è stato solo con Bossi. Sull'«Indipendente» ha sfidato il capo del Carroccio: «Dopo il voltafaccia della Lega nella vicenda Previti - ha scritto - è necessario indicare un punto di riferimento politico serio e certo a quella popolazione del Nord Est che finora ha ritenuto di affidare il proprio disagio alla Lega». Ma Bossi è un conto, D'Alema un altro, anche se i dipietristi sperano che nella riunione di martedì prossimo il loro leader lanci altri guanti di sfida. Maria Teresa Meli Ma sulla «conta» dei cittadini proposta martedì l'ex magistrato non trova consensi e diventa cauto «Non posso certo rompere i rappòrti con D'Alema» L'ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro: vuol lanciare una raccolta di firme in appoggio all'inchiesta su Tangentopoli
Luoghi citati: La Loggia
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