Le cose cambiano di Lietta Tornabuoni

Le cose cambiano PERSONE Le cose cambiano I può disapprovare il voto dei parlamentari sul caso Previti; si può giudicare male l'aria stracca, distratta, senza interesse né passioni, che sembra aver caratterizzato la discussione alla Camera sull'argomento; si possono identificare tante ragioni anche politiche o opportunistiche per le quali i parlamentari hanno deciso come hanno deciso; si può registrare con tristezza l'assoluta mancanza di sorpresa in tanta gente per la quale tutto pare ovvio, «cane non mangia cane», è sempre andata così. Ma si può anche pensare (l'ha notato Sergio Romano) che nel pronunciamento dei parlamentari, insieme con molti altri motivi forti, ci sia stata una volontà d'autodifesa, una riaffermazione di quelle proprie prerogative rispetto alla legge e di quei privilegi già insidiati dalla riforma del 1993: insomma un'espressione di ostilità verso il cambiamento analoga a quella di altri gruppi sociali. Piano, piano, le riforme o i progetti di riforme del governo cominciano a riguardare interessi sinora considerati quasi intoccabili, cominciano a rivelare quanto vasto e profondo fosse in passato il compromesso tra governanti e governati. Si scopre che allevatori e produttori di latte erano non soltanto partecipi del pasticcio d'illegalità, noncuranza e tornaconti elettorali creatosi sulla questione delle quote latte, ma in buon numero fruivano anche d'una situazione truffaldina: e che adesso la perdita di quella situazione fa crescere l'ira e spinge alla rivolta. Si scopre che commercianti o appartenenti agli Ordini professionali s'avvantaggiavano d'una condizione chiusa lontana dalla regole di mercato e da una libera concorrenza tanto lodata quanto poco praticata: e che adesso la perdita di quella condizione fa infuriare e porta alla ribellione. Si scopre che i deputati non paiono troppo dissimili: la perdita di privilegi iniqui conduce pure loro a proteste inespresse ma eloquenti. Se le cose cambiano, oltre all'avversione verso il cambiamento comprensibile in chi ha qualcosa da perdere, oltre al fastidio per il vanificarsi di regole o abitudini acquisite sulle quali si credeva di poter contare e s'erano costruiti i propri progetti, oltre alla difficoltà di dover adottare nuovi comportamenti, capita che molte certezze vengano a cadere provocando smarrimento, che l'impressione d'un regno del caos anziché di mutamenti spesso provvidi dia origine a reazioni furiose. Magari ci aspettano un periodo molto inquieto, contese e trattative senza fine: speriamo che ne valga la pena. DI CORSA Si vorrebbe non vedere più un'immagine televisiva ormai cristallizzata in tutto il mondo occidentale: il leader politico o governativo che esce da una porta, comincia a camminare, e il corteo dei cronisti che lo insegue con affanni) allungando microfoni, gridando domande, ottenendo rispostine sentenziose o condiscendenti dall'interrogato che seguita a marciare di buon passo. Ma dove corre? Che fretta ha? Perché non si ferma un momento e non dà le sue risposte educatamente, ponderatamente? Oppure, perché non tace e scompare, se davvero ha i secondi conrari? Si capisce che questa scenetta di villania e di mancanza di rispetto per il lavoro dei giornalisti vorrebbe trasmettere l'idea che l'interrogato è stato còlto di sorpresa, che è restìo e viene forzato a fare dichiarazioni, che è seccato dall'assedio e cerea di liberarsene tirando dritto per la sua strada. Ma la scena si ripete ogni giorno più volte al giorno, quindi la sorpresa è esclusa e ogni effettosorpresa è cancellato; e se qualcuno volesse sottrarsi, si sottrarrebbe. Allora? Possibile sia soltanto per il gusto dell'interrogato di mostrarsi indatiarato, di venir circondato, seguito, invocato, che gli intervistatori debbono trottare e i telespettatori debbono ascoltare frasette avventate oppure insulse? Lietta Tornabuoni

Persone citate: Previti, Sergio Romano