E la Quercia si ribellò ai «prodiani» di Augusto Minzolini

E la Quercia si ribellò ai «prodiani» E la Quercia si ribellò ai «prodiani» D'Alema: i democristiani giocano meglio di noi I DUELLI A SINISTRA OROMA UASI sospira Ciriaco De Mita sul portone di Montecitorio. Lui di lotte al coltello in Rai ne ha viste tante a cominciare da quelle che hanno fatto la storia degli anni '80, quelle tra lui e Craxi, tra de e socialisti. E in fin dei conti la battaglia finita con Enzo Siciliano che se ne va alzando bandiera bianca, anche se cronologicamente appartiene alla Seconda Repubblica, all'era dell'Ulivo, odora tanto di Prima, ricorda i duelli tra il socialista Manca e il fido Agnes. «Quello tra Siciliano e Iseppi - osserva l'expresidente de con il tono dell'esperto - è uno scontro storico. Siciliano, cioè il pds, contende a Iseppi, cioè Prodi, l'egemonia sulla Rai. Sulla Rai, poi, si riflette anche lo scontro dentro il pds tra Veltroni e D'Alema. Li dentro ognuno ha i suoi». Dopo averlo minacciato per mesi ai quattro venti, con quell'espressione che sulla sua bocca è diventata quasi una litania («Mi sono rotto le scatole»), ieri Siciliano ha mollato senza avvertire nessune per non subire pressioni (Violante e Mancino hanno letto la notizia sull'Ansa). Ha traslocato, insomma, aprendo formalmente la crisi della Rai dell'Ulivo. Cosi, dopo l'audience e il primato, l'azienda di viale Mazzini ha perso anche il presidente che non decideva mai. Siciliano si è tolto d'impiccio per pensare al futuro, per non lasciare sulla poltrona di viale Mazzini oltre alla faccia la credibilità che gli è rimasta. Si è fatto quattro conti e ha capito che gli conveniva cambiare aria. C'è la presidenza della Biennale in palio o, ancor meglio, quella della Treccani con la benedizione del caro amico Scalfaro. Che altro avrebbe potuto fare? Troppo impari la battaglia. Lunedì scorso Siciliano aveva abbozzato ancora una volta in consiglio di amministrazione, di fronte alla proposta di Iseppi di rivoluzionare i vertici delle tre reti Rai: Vittorio Monti, ex-direttore di Panorama, sarebbe dovuto finire alla direzione RaiUno, al posto di Tantillo; quest'ultimo avrebbe preso RaiTre mentre Minoli - secondo il piano - sarebbe stato esiliato sul satellite. Insisti, insisti, Siciliano aveva mezzo accettato. Non basta: nei corridoi dell'a- zienda di viale Mazzini - che per congiure ricorda la vecchia Bisanzio - Iseppi aveva fatto già girare la voce che in capo ad un mese sarebbe toccato ai Tg. Poveretto, Siciliano nelle mani di quel lupo era più inerme di un agnello: il direttore generale, infatti, ha l'identikit del prodiano di ferro. Sposa il fatto di essere un prodotto Rai, uno che fa parte della tecnostruttura dell'azienda, con l'essere da sempre democristiano, di una specie particolarmente coriacea come la sinistra de. Con personaggi come lui o come l'amministratore delegato di Telecom Tommaso Tommasi - quello che ha costretto Guido Rossi a fare le valigie - il Professore sta arginando l'espandersi dell'influenza pidiessina. Ovviamente, quando quella lista è diventata pubblica gli azionisti di riferimento di Siciliano, cioè Veltroni e D'Alema, per la prima volta si sono trovati d'accordo nello storcere la bocca. («Sono nomine - è stato il grido d'allarme al Bottegone - targate Prodi. Monti era o non era candidato a portavoce del professore?». Per cui niente da fare, meglio tenere tutto fermo. Solo che nel giro di due giorni Siciliano è diventato il tipico vaso di coccio stretto tra vasi di ferro. Quando ha fatto sapere che ci aveva ripensato, gli altri consiglieri si sono ribellati. Liliana Cavani ha telefonato al capo della segreteria di Marini, Antonello Soro, minacciando le dimissioni: «Non accetto diktat pidiessini». Tanto più che la regista, che piace tanto ai popolari, da tempo è in sofferenza visto che ha in ballo un film con Mediaset. Stessa cosa hanno fatto Scudiero e l'Olivares. Forte di questo sostegno, ieri alle 14 Iseppi ha comunicato al presidente della Rai che era sua intenzione procedere ugualmente alle nomine a costo di farle passare a maggioranza. A quel punto Siciliano è caduto nella tipica depressione del chi me lo fa fare. E per mettersi al riparo ha scritto da solo la sua lettera di dimissioni. Del resto dopo aver detto sì alle nomine, era l'uni- cosa è successo? «Cosa vuole che sia successo? E' chiaro che l'Ulivo lo ha scaricato». E perché? Veltroni lo aveva sempre difeso, o no? «Evidentemente persino il regime si è reso conto che il suo professore era indifendibile. Il Polo è orgoglioso della gestione di Letizia Moratti, ma l'Ulivo non può essere orgoglioso di uno come Siciliano. In Rai, se escludiamo i promossi più recenti, nessuno lo rimpiangerà». E adesso che cosa succederànell'azienda? «Per il momento diciamo che la cosa più importante era arrivarci, a questo "adesso"». co gesto che gli rimaneva per bloccarle. Un estremo rimedio, ma anche la firma al fallimento della Rai targata Uivo. Agli altri non è restato che correre ai ripari. Mancino e Violante avrebbero voluto in un primo tempo nominare un nuovo presidente. Quella corrente del partito Rai che si rifa a Veltroni si è inventata il nome di Massimo Fichera, già candidato della Quercia per l'authority delle telecomunicazioni. Dal Bottegone, però, è venuto un secco no. Meglio congelare, meglio cambiare la legge, puntare ad un amministratore unico. «In questa Rai - qualcuno ha sentito dire a D'Alema - i de sanno giocare meglio di noi». Già, meglio riformare tutto, che fare la parte dei fessi che si siedono Ma ce l'avrà qualche idea sul futuro della Rai. 0 le basta essersi liberato di Siciliano? «Io dico soltanto una cosa: quando i presidenti delle Camere hanno nominato ai vertici di un'azienda radiotelevisiva un signore che per sua stessa ammissione non aveva mai guardato la tv in vita sua, la commissione di vigilanza non si era insediata e non aveva un presidente. Ora il presidente c'è, e mi auguro che Mancino e Violante siano così saggi da parlare con lui, prima di decidere il successore...». Sta dicendo che vuole decidere il nuovo vertice della Rai insieme a Mancino e Violante? «Non ho detto questo, ma forse qualche consiglio sarebbe utile ai signori presidenti. Aspetto un segnale nel giro di poche ore». Supponiamo che le dicano di «non... «Beh, allora sarebbe indispensabile una nuova legge». Guido Tiberga al tavolo per contare poco e niente. Ecco perchè ieri sera, quando Prodi e D'Alema si sono ritrovati ancora una volta, uno di fronte all'altro a Palazzo Chigi, il segretario pidiessino ha di nuovo proposto al premier di congelare tutto per il momento. E, intanto, cercare di trovare un accordo prima nell'Ulivo e, quindi, con il Polo per varare la nuova legge nel giro di due mesi. L'alternativa è quella di cambiare tutto il Cda subito, compreso Iseppi. Una posizione rigida, resa convincente dalla mozione di sfiducia ai vertici Rai presentata dai verdi, una pistola nelle mani del pds. Prodi da buon post-democristiano ha accettato l'idea del congelamento. Del resto nell'arte del compromesso gli eredi della de sono sicuramente più bravi dei pidiessini. L'idea di Iseppi sul futuro della Rai è simile a quella di Berlusconi, ed è identica a quella degli ex-dc del Polo. «Tra de - ammette Follini dei Ccd - ci si capisce meglio». Ma non è finita. Maestri nel dare a questo e a quello, Prodi e compagni riescono a trovare un'intesa anche con i neo-comunisti. «Mentre spiegava ieri De Mita - non sono mai stato anti-comunista, sto diventando anti-pidiessino». Per cui bisogna prepararsi ad un nuovo grande scontro. Con D'Alema e i suoi che rischiano di rimanere intrappolati in quelle paludi che i nipotini di Moro e Fanfani conoscono a menadito. Nella prima Repubblica è già successo ad altri. Augusto Minzolini Francesco Storace (An) presidente della commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai