Balsorano, il Dna scagiona il mostro

Balsorano, il Dna scagiona il mostro L'Aquila, rovesciata la sentenza della Corte di Cassazione. E l'uomo richiama in causa il figlio: «Tu sai la verità» Balsorano, il Dna scagiona il mostro «La piccola Cristina non è stata uccisa dallo zio» L'AQUILA. Michele Perruzza è innocente. Il «mostro di Balsorano» non è lui. Chi ha ucciso la piccola Cristina Capoccitti? La bimba aveva 7 anni quando fu trovata morta in un boschetto a Case Castella di Balsorano (L'Aquila). Era il 23 agosto del '90. Da sette anni, cinque mesi e 24 giorni Michele Perruzza, zio della vittima, è in carcere, a scontare l'ergastolo. Durante la detenzione un ictus lo ha reso semiparalizzato. La giustizia disse che era lui il pedofilo assassino. E ieri, quella stessa giustizia, indossata da uomini diversi, ha clamorosamente rovesciato quella che sembrava ormai una certezza suggellata dalla pronuncia della Cassazione. Gli slip macchiati del sangue di Cristina che gli investigatori trovarono sul tetto di casa Perruzza non furono mai indossati dal «mostro». La prova madre del castello accusatorio, che aveva retto nei tre gradi di giudizio, si è dissolta in un'aula di tribunale. Il Dna, ricavato dalle tracce di materiale organico rinvenute su quelle mutande, non è assolutamente compatibile con quello dell'ergastolano. Lo hanno stabilito i periti nominati dal tribunale di Sulmona, che ieri hanno illustrato nei particolari le fasi delle complesse indagini scientifiche. Quello che doveva essere un processo «satellite» - riprenderà domani per un confronto tra i periti - è diventato, d'un colpo, il vero passepartout alla revisione del procedimento principale tanto che i legali della difesa, Cecclùni, De Vita, Mac- calimi, hanno già clùesto l'immediata scarcerazione dell'imputato. Perruzza e la moglie, Maria Giuseppa, per il tribunale di Sulmona sono infatti imputati di induzione all'autocalunnia, di aver cioè costretto il figlio Maiuo, che all'epoca aveva 13 anni, ad addossarsi la responsabi¬ lità dell'omicidio perché non imputabile. Ma In pressioni sul ragazzo, in realtà, non ci sarebbero mai state. Il 26 agosto del '90 Mauro confessa al magistrato che indaga, Mario Pinelli, di aver ammazzato la cuginetta. Ricostruisce quelle terribili fasi dell'assassinio con dovizia di particolari. E' credibile. Poco più tardi, nel cuore della notte, Mauro camhierà versione ed accuserà il padre. Intanto, dopo la marcia indietro del ragazzino, poi affidato ai servizi sociali prima di finire tra le mura di una casa umbra dove lo accolgono due coniugi che diventeranno a tutti gli effetti suoi genitori adottivi, il mostro di Balsorano, il 15 marzo del '91, viene condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise dell'Aquila. A Balsorano si festeggia con i fuochi d'artificio. Gli innocentisti sono pochi e tra di essi c'è il giornalista Gennaro De Stefano che sull'omicidio scrive un libro in cui fa pesanti rilievi alle indagini svolte dagli inquirenti. E' il primo a parlare dell'esistenza di una cassetta dove si sentirebbe chiaramente Mauro che, nel co;"so di un interrogatorio, si lamenta come se venisse sottoposto a violenza fìsica. Le accuse del giornalista non cessano, i suoi articoli su vari settimanali continuano e il 31 agosto del '92 viene arrestato per spaccio di stupefacenti. La polizia lo blocca in auto e trova nel cruscotto 23 grammi di cocaina. Due mesi di carcere e poi la scoperta del complotto ordito contro di lui. Il principale artefice, un ispettore di polizia, che condusse le prime indagini sull'omicidio di Cristina, viene condannato a 7 anni di reclusione. Ma la prova madre, assieme all'accusa di Mauro definito da una perizia di parte «inattendibile», continuano a fare breccia e la condanna di Perruzza viene confermata in Appello e in Cassazione. Il delitto Mauro lo avrebbe visto dal tetto di un vecchio porcilaio. Ma da quel pimto, all'ora del delitto e con la fitta vegetazione non si vede alcunché. Lo accerterà un sopralluogo che lo stesso tribunale di Sulmona ha l'atto eseguire il 23 agosto scorso, stesso giorno e stessa ora in cui fu ammazzata Cristina. Il presidente della Corte d'Assise d'Appello, Bnmo Tarquini, ne ordinò imo analogo, ma d'inverno e di giorno Per gli avvocati fu «una farsa», per i giudici una nuova condanna. Michele Perruzza, che non ha mai voluto accusare il figlio, ieri ha rotto il silenzio: «Sono 7 anni che cerco di uscire da questa storia. Parla tu che sai come sono andate le cose». Roberto Ettorre Crollata la prova chiave: non sono suoi gli slip sporchi di sangue LlPaMaddv; 1 IL GIALLO DELLA CASSETTA. Conterrebbe là registrazione delle diverse versioni del ragazzo: l'autoaccusa e l'accusa al padre Gli inquirenti negano l'esistenza della cassetta. Questo e altri elementi convincono i difensori di Perruzza a chiedere la revisione del processo. UN MISTERO LUNGO 7 ANNI IL DELITTO. 1124 agosto 1990 vjené trovato ili cadavere seminudo di Cristina Capoccitti, una bimba dì 7 anni sparita li.sehxp.rtma. L'autopsia stabilirà che é stata ; <r--fstrangolata ^ i LE PROVE. li 27 agosto Mauro Perruzza, di 14 anni, figlio di Michele, sii ì autoaccusa del delitto. Poche ore.; dopo ritratta e> accusai! padre; che nega. Ma ih casa vengono trovati un paio di slip e una : Canottiera sporchi di sangue e sette capelli che |— vengono attribuiti à Cristina, t LE CONDANNE. Nel marzo '91 la Corte d'Assise condanna il muratore all'ergastolo, sentenza confermata nel gennaio '92 in appello e in Cassazione (settembre '92). Michele Perruzza, condannato all'ergastolo per l'uccisione della nipote di 7 anni e scagionato dall'esame del Dna