Agonia nello camera della morte
Agonia nello camera della morte Milano: chiesto il processo con rito immediato, l'accusa è di omicidio colposo Agonia nello camera della morte //pm: sette a giudizio per la strage del Galeazzi MILANO. Non fu un caso imprevedibile: dietro agli undici morti nella camera iperbarica dell'Istituto Galeazzi ci furono «negligenza, imprudenza ed imperizia». Per questo il pubblico ministero Francesco Prete chiede il processo di sette persone per incendio colposo, omicidio colposo plurimo e violazione delle nonne sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; e chiede che il rinvio a giudizio avvenga con rito immediato (saltando cioè l'udienza preliminare davanti ai gip) poiché «la prova è evidente». I sette per cui si chiede il processo sono: Antonino Ligresti, ex presidente del Galeazzi e proprietario di quell'impero di cliniche private di cui l'istituto ortopedico la parte; Silvano Ubbiali, consigliere del Galeazzi delegato ai problemi della sicurezza; Ezio ZambreUi, direttore sanitario; Roberto Beretta, capo dell'ufficio tecnico; Giorgio Oriani, primario del reparto di ossigeno-terapia dove avvenne l'incidente; Andrea Bini, tecnico addetto ai comandi delle camere iperbariche; Raffaele Bracchi, titolare della società Clinical Service a cui era stato demandato il sei-vizio di prevenzione dei rischi al Galeazzi. Tutti loro, secondo l'accusa, hanno concorso a vario titolo a non impedire che la tragedia si consumasse e, soprattutto, a far sì che avesse simili proporzioni. Perché una cosa è ormai certa: se l'impianto antincendio avesse funzionato qualcuno si sarebbe potuto salvare. La perizia necroscopica ha infatti stabilito che una sola delle vittime, la signora che aveva portato lo scaldino, è morta all'istante, uccisa dalla fiammata iniziale. Per gli altri la fine è stata più lunga: per almeno sei di loro «c'è stato un tempo minimo di vita di almeno tre minuti». Sufficienti a far sì che si rendessero conto di ciò che stava avvenendo; che tentassero, invano, di chiedere aiuto: un testimone (un paziente che aveva appena finito la sua terapia) ha visio chiaramente sul monitor un uomo av¬ volto dalle fiamme che batteva i pugni contro il portellone della camera. Sufficienti, soprattutto, a poterli salvare, se l'impianto antincendio avesse funzionato: in tre secondi, infatti, l'acqua avrebbe spento le fiamme. Non è un'ipotesi astratta, quella fonnulata dal pm nel suo atto d'accusa. Allegato agli atti c'è infatti un filmato girato negli Usa lil titolo: Hyperbaric fire control) in cui si simula un incendio del tutto simile a quello sviluppatosi al Galeazzi. E in cui si vede che un impianto antincendio, del tutto simile a quello in dotazione alla clinica milanese, spegne la fiamme che hanno avvolto dieci manichini in tre secondi. C'è una differenza: l'impianto anticendio del filmato aveva l'acqua; quello del Galeazzi no. E dovevano pur saperlo i responsabili della clinica - nota il pm visto che, secondo la perizia tecnica, il rubinetto interno alla camera iperbarica è sempre rimasto aperto, e asciutto. Colpa «imperdonabile»: così de¬ finisce il pm la trascuratezza dell'impianto antincendio e degli altri sistemi di sicurezza. Ad esempio il professor Oriani, in un suo libro, raccomanda che la percentuale di ossigeno nelle camere iperbariche sia al massimo di 23,5: nel suo reparto il manometro era fisso a 27. Altro esempio di «trascuratezza»: il quadro di controllo non aveva il segnalatore acustico; e quando è scoppiato l'incendio il tecnico Bini non era neppure davanti al monitor. E anche la causa dell'incendio (lo scaldino) a chi e imputabile? Secondo il pm lo stesso Oriani avrebbe «omesso di impartire le opportune istruzione ai pazienti». Aggiungendo a tutto ciò il numero altissimo dei trattamenti effettuati (32 mila l'anno), con conseguente aumento dei rischi; l'utilizzo di personale «non adeguatamente preparato» chiamato alle camere iperbariche, in straordinario, dagli altri reparti. E' questo miscuglio di «negligenze», per il pm. che e costato 11 vite. [s. mar." i Antonino ! Ligresti , ex presidente j del Galeazzi e proprietario | di un impero di cliniche private di | cui l'istituto i ortopedico fa parte
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