Ma Berlusconi ora frena «Nessun trionfalismo» di Augusto Minzolini

Ma Berlusconi ora frena «Nessun trionfalismo» IL FUTURO DELLE RIFORME Ma Berlusconi ora frena «Nessun trionfalismo» ROMA ELLE prime ore del pomeriggio di ieri in un angolo del Transatlantico di Montecitorio Roberto Maroni, viceconsole di Umberto Bossi, spiega perché di lì a qualche ora i leghisti avrebbero votato compatti contro l'arresto di Cesare Previti. «Questo voto - osserva è solo l'antipasto della partita vera. Sarà sulla separazione delle carriere dei magistrati che si giocherà il vero destino delle riforme. Noi siamo pronti a sfidare la piazza anche salvando Previti. Siamo una classe dirigente che sa di avere un elettorato forcaiolo ma che è capace di spiegare alla sua base qual è la vera posta. Noi non siamo come quei debosciati della sinistra che stanno appresso all'umore della piazza, ai sondaggi. Sono diventati tanti Berlusconini che non hanno nulla a che vedere neppure con il pei di una volta». Passano le ore, e dopo quel voto che chiude definitivamente la fase della politica succuba della magistratura, Marcello Pera, regista di Forza Italia in Bicamerale sui temi della giustizia, pronostica un futuro molto simile a quello ventilato da Maroni. «Questo è un passaggio importante - dice -. E' venuta fuori una maggioranza che può ritrovarsi sulla separazione delle carriere e sul federalismo. C'è la possibilità di riforme più avanzate». Poco più in là, dentro il Palazzo, si svolge un'altra scena che dà un significato a quanto avvenuto. Franco Marini continua a ironizzare sulla posizione pidiessina: «Fermi tutti, fermi tutti, prima di parlare devo capire cosa dice la piazza, cosa dicono quelli del popolo dei fax...». Giuseppe Gargani, responsabile giustizia del Ppi, invece, risponde ai capigruppo della Quercia, Mussi e Salvi, che, arrabbiati per come è andato il voto, vogliono un vertice dell'Ulivo sulla giustizia. «Io sono d'accordo osserva - anzi dico che è necessario. Dobbiamo ricercare un'intesa nell'Ulivo tenendo conto che in Parlamento ci sono questi numeri. Non dico che si debba arrivare per forza alla separazione delle carriere, ma bisogna dar vita a un sistema che si basi sulla distinzione di ruoli tra giudici e pm». Voto di svolta. Dentro il Palazzo l'aula di Montecitorio risponde di «no» al pool di Milano che chiede la custodia cautelare per un parlamentare già rinviato a giudizio. Fuori, a protestare, c'è solo qualche decina di dimostranti, rappresentanza sparuta del cosiddetto popolo dei fax. Anche i numeri stanno lì a dimostrare che un periodo è finito, che sia pure lentamente il Paese si avvia verso la normalità. Non c'è più la tensione di cinque anni addietro, dei giorni in cui il Parlamento rispose no all'arresto di Bottino Craxi c come risposta trecento dimostranti organizzati assaltarono l'hotel Raphael. Questa volta nessuno drammatizza, nessuno, soprattutto, organizza. 0 meglio, fedele al ruolo che ha in commedia, c'è la promessa di Di Pietro: «Faremo la conta dei cittadini». Magari, l'ex magistrato pensa di riproporre i gazebo dei re¬ ferendum della Lega. Ma, in fondo, se non si assumesse quest'onere, cos'altro potrebbe fare Di Pietro? £' cambiala l'aria: questo e il punto. Non è, infatti, solo la maggioranza che si è espressa ieri a Monlecitorio a voler riportare la magistratura nel suo alveo istituzionale. Basta guardare alle cronache di queste settimane per averne ia conferma. Il Capo dello Slato nel suo messaggio di fine anno condanna le manette facili. Il presidente della Camera consiglia prudenza quando si parla del¬ l'arresto di un parlamentare. Lo slesso Massimo D'Alema non si pronuncia se non all'ultimo, quando sul tabellone elettronico di Monlecitorio si scopre che ha volato sì all'arresto. Mentre Romano frodi diserta la votazione - come deciso - approfittando dell'incontro con Kohl. Insomma, diciamo la verità, è l'establishment di ernesto Paese nel suo complesso a voler riportare la politica al centro del potere decisionale, a non voler subire più le interferenze, D meglio, la supplenza svol¬ ta in passato dalla magistratura. Del resto le riforme istituzionali servono - citando il presidente della Bicamerale - anche a questo. Se si sceglie questa chiave interpretativa allora la vicenda di ieri appare chiara, addirittura scontata. Malgrado la «suspense» di questi giorni la stragrande maggioranza del Parlamento - più grande addirittura di quella che si è espressa nel voto - non voleva l'arresto di Previti. E già, a sentire gli uomini del Ca- valiere, l'ex-ministro di Berlusconi ha potulo scegliere. Da una parte poteva contare sulla Lega ma, se non si fosse fidalo, accettando il voto segreto avrebbe certamente pescato qualche volo a sinistra. Non per nulla, in un incontro casuale in commissione antimafia, l'avvocato di Botteghe oscure, il senatore (Juicio Calvi, ha spiegato al deputato di Forza Italia Michele Saponara: «So che se scegliete lo scrutinio segreto un gruppetto di nostri è pronto a votare no». Un messaggio che il fordista ha recapitato subito a Previti Così alla line, se si va a vedere, lo stato maggiore di Berlusconi ha deciso lo scrutinio palese più che altro per paura di restare vittima dello scherzo di qualche settore del Polo. E in l'in dei conti, dopo il volo tutti - vincitori e vinti - hanno tentalo in qualche modo di circoscrivere la vicenda, hanno cercato di non dare un significalo dirompente al risultalo Berlusconi, ad esempio, ha ordinato a tutti i suoi di non parlare, di evitare «inutili trionfalismi». Avaro di dichiarazioni con i cronisti non ha speso una parola contro il Pool. Un'unica frase si è fatto strappare di bocca. «Quest'assemblea ha dimostrato di scegliere lo Stato di diriilo alla barbarie giuridica. Ma io sono sempre stato convinto che sarebbe finita cosi. Ora c'è bisogno di sobrietà. In questo Paese ci sono già troppe fazioni, troppe divisioni». A sentirlo parlare non sembrava neppure di ascollare Berlusconi. E tanta sobrietà sta a dimostrare che neppure il Cavaliere vuole strafare. Per cui se si mettono insieme i tasselli - e cioè un Di Pietro che pensa di aver trovato un'occasione, un D'Alema che dovrà tenere a bada la sua base e un Berlusconi che, a questo punto, non ha nessuna voglia di rischiare - si può star siculi che il voto di ieri più che ipotizzare nuove maggioranze sulla giustizia, rappresenta la garanzia che l'accordo sulla delicata materia in Bicamerale non potrà fare passi indietro. Augusto Minzolini

Luoghi citati: Milano, Roma