Referendum su Mani pulite di Filippo Ceccarelli

Referendum su Mani pulite Referendum su Mani pulite Di Pietro: e ora la conta dei cittadini ROMA. E Di Pietro ne approfitta per chiedere il conto, anzi la conta. Alle 22,10 - meglio tardi che mai - il comunicato: «Oggi, dopo aver assistito alla conta dei parlamentari prò e contro Mani pulite, è più che mai necessario organizzare la conta dei cittadini, per sapere esattamente da che parte sta la maggioranza degli italiani: ci adopereremo nei tempi e nei modi opportuni - si legge - di organizzare questa conta». Giornata amara, dunque, ma forse addirittura promettente per i giustizialisti. «Mi ricorda - dice Di Pietro - il giorno del decreto Biondi». Si incontrano la sera tardi, come carbonari. Sono pochini, al solito, ma rivendicano la rappresentanza di moltitudini di elettori scontenti, sconfortati, offesi, sdegnati Una specie di sorpresa scontata. La Camera «assolve» Previti e i deputati-piloti del dipietrismo guardano al Senato. «Questo voto - commenta immediatamente Giuseppe Scozzari - consegna ad Antonio Di Pietro un patrimonio e una motivazione in più per continuare ad essere quello che è». Che il senatore plebiscitato del Mugello sia, per l'appunto, il più compiuto interprete politico della «legalità», e come tale quello che s'appresta a raccogliere e iiidirizzare il malcontento, è abbastanza chiaro. Però, almeno a caldo, si fa capire che Di Pietro non farà commenti. Rientra nella strategia comunicativa: quando verranno, non ci sarà troppo tempo per interpretarli. Basti quello di Pecoraro Scanio che traduce quella fatale «conta» - questa la parola che deve rimbalzare - nell'idea di un referendum sulla giustizia da tenersi sui risultati della Bicamerale. Nel frattempo si misura in largo e in lungo il disagio, cercando di capire se parte un'ondata d'indignazione sulla spinta del voto di Montecitorio. Dilemma di non poco conto, seppur in mancanza di scientifico misuratore di risentimento sociale e anche un po' di diretta televisiva. Ieri sera, comunque, si sono sentite alcune grida fuori Montecitorio, sono partiti fax e telefonate a Italiaradio. I «dipietrini», gruppetto trasversale per eccellenza, sono convinti che l'arresto era fortemente maggioritario, e che il Parlamento, negandolo, non è in sintonia con milioni di cittadini. E' la premessa per la linea del referendum. Non è il clima del 1992, certo, quando Craxi venne «assolto» e in seguito coperto di monetine sotto il Raphael. «Eppure - sosteneva animatamente Veltri appena uscito dall'aula nella quale ieri aveva pronunciato un vibrante discorso, con citazione di Cavallotti, uomo politico di fine secolo come Di Pietro abituato a battagliare tra scandali, duelli e processi - neanche allora i deputati s'erano accorti che la gente era imbestiahta». Con maggiore pacatezza lo riconosceva il deputato riddino, nonché cognato di Di Pietro, Cimadoro che votando no alla proposta della Giunta sui cartelloni elettronici dell'aula s'è ritrovato come un piccolo punto- lino rosso fra tanti verdi del Polo: «Unico rubino - scherzava - fra tanti smeraldi». Mentre Scozzari, che sta con la Rete, spingeva l'affondo sul terreno etico («Questo Parlamento ha lanciato un segnale di immoralità»), l'energico Alfonso Pecoraro Scanio, che nel primo pomeriggio aveva guidato una mini-manifestazione in piazza Montecitorio contro «il partito dell'inciucio e dell'impunità», sperimentava la più sintomatica invettiva contro «un Parlamento che si sputtana rispetto a quello che pensa il 90 per cento delle persone». E' probabile che, per quanto spesso esagerate e comunque sempre discutibili, rispetto all'affaire Previti le percentuali stiano più con i «legalisti» che con i loro nemici garantisti. E' questa certezza di essere molto più sostenuti fuori che dentro il Palazzo che gli consente di andare dritti per la loro strada, cercando anzi di allargarla. Eminentemente circondato da invisibile favore popolare si ritiene Di Pietro, anche prima dell'«assoluzione» di Previti. La Directa gli attribuisce dal 5 (se sbaglia tutto) al 15 per cento; per Mf-fashion risulta il politico che veste peggio, ma per Amica è l'uomo che le italiane vorrebbero sposare. L'Ispo di Mannheimer lo dà vincente su tutti come presidente della Repubblica. Immaginarselo cloroformizzato - o «cane bastonato» come dice lui - pare piuttosto improbabile. L'«assoluzione» di Previti gli regala un ruolo e in qualche modo un valore aggiunto da giocare in vista della «conta». Filippo Ceccarelli L'ex pubblico ministero di Mani Pulite e ora senatore dell'Ulivo Antonio Di Pietro

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