«E# una colossale panzana»

«E# una colossale panzana» «E# una colossale panzana» Il generale Pisani: nessun contatto con Cosa Nostra ROMA I panzane se ne sentono tante, nella vita. Questa è la più gigantesca». Il generale Domenico Pisani, anche se oggi è andato in pensione e veste gli abiti borghesi, è carabiniere fin nel midollo. Come si dice in questi casi, ha gli alamari cuciti sulla pelle. E' stato vicecomandante generale. Per tre anni, dal 1991 al 1993, proprio negli anni delle bombe stragiste e dell'arresto di Riina, ha diretto l'Arma come capo di stato maggiore. Ha inventato lui i Ros e ha scelto gli uomini che dovevano farne parte. Generale, che pensa dì quanto racconta Giovanni Brusca? E cioè di accordi stretti tra mafiosi e carabinieri, di Totò Riina consegnato dopo una trattativa, addirittura di un «pilotaggio» di Cosa Nostra da parte dell'Arma? «Non mi risulta nulla. Anzi no, questa formula non mi piace perché potrebbe suonare come una presa di distanze. Questa storia non esiste. Non e-si-ste». E la trattativa con lo Stato tramite il famoso «papello» di Riina, cioè l'elenco delle richieste di Cosa Nostra? «Panzane anche queste. Io nel 1993 ero capo di stato maggiore dell'Arma. Posso garantire che nulla di ciò è vero. Se mi si viene a dire di trattative, di bombe, di accordi, siamo completamente fuori scena». Ma sulla cattura di Riina esistono particolari ancora ignoti? «Guardi, io credo che sia tutto agli atti della Procura di Palermo. Chiedete a loro e saprete». Lei smentisce ogni trattativa con Di Maggio? «Certo. Figuriamoci... Di Maggio è un mafioso che è stato arrestato e che ha subito collaborato, aiutandoci a catturare Totò Riina. Punto. In Sicilia già c'era un gruppo speciale dei Ros che dava la caccia a Riina. Arrivarono le informazioni di Balduccio Di Maggio e i tempi si accelerarono. Questo è indubbio. Ma io credo anche che l'avremmo preso lo stesso». Tutto il resto, insomma, è dietrologia. «Se cominciamo a pensare che sempre dietro ogni fatto ci devono essere misteri, o grandi vecchi, affrontiamo i problemi con una mentalità deformata. Lo spieghi lui, il signor Brusca, perché ha detto una cosa del genere. Se ci mettiamo noi a interrogarci del perché l'hanno arrestato in strada e non su un albero, fa parte delle illazioni del dopo. Illazioni che non tengono conto delle difficoltà del momento». Intanto, però, torna a circolare il sospetto che l'Arma sia un corpo separato dello Stato e «poco affidabile» per la democrazia. «E perché mai, di grazia, nel 1998 qualcuno dovrebbe porsi questo problema? Perché il signor Brusca ha detto una gigantesca panzana? No, signori, dall'altra parte ci sono sessanta milioni di italiani che conoscono bene i carabinieri e le idee, sulla nostra affidabilità, le hanno già». Nessun mistero, dunque? «Guardi, l'Arma è fatta di migliaia di persone. Al comando generale di viale Romania non ci sono meandri oscuri dove si complotta. No, a viale Romania si entra e si esce in piena libertà e trasparenza. Ci lavorano centinaia di ufficiali e sottufficiali. Pensate davvero che un mistero del genere sarebbe rimasto segreto? Già, ci voleva il signor Brusca per scoprirlo... Ma l'avremmo saputo tutti dopo ventiquattr'ore. Qua in Italia si sa sempre tutto». Qualche mistero, però, voi carabinieri, specie nelle cose di mafia, t'avete sempre. Vogliamo parlare del vecchio capomafia Michele Greco, detto il Papa, che i corleonesi vi consegnarono su un piatto d'argento? «Di questa storia so molto poco perché andiamo molto in là nel tempo. Ma allora possiamo anche parlare del colonnello Luca e della banda Giuliano, se volete». Parliamone. «Diciamo che un tempo, ancora fino a qualche tempo fa, lo stesso ufficiale di polizia giudiziaria era terminale dell'attività di informazione e della repressio- ne. Oggi le due attività sono separate. Questa confluenza, in verità, agevolava molto». Fuori di gergo tecnico, a quell'epoca era possibile che l'investigatore entrasse in contatto con i mafiosi. «In quel passato lì, si partiva da zero. Avveniva un fatto e si cominciava a ricercare notizie. L'informazione completa, e magari gli arresti, arrivavano al termine dell'indagine. Si andava alla ricerca di notizie come un cane da tartufo. E queste notizie mica arrivavano la notte in sogno. Però questo non vuol dire che si doveva per forza diventare delinquenti. Si stava tra la gente. Perché è chiaro che la ricerca si fa tra la gente, non chiusi in una stanza a sentire la radio». Tornando all'oggi, lei sugli uomini del Ros mette la mano sul fuoco. «Assolutamente sì. Il Ros è la punta di diamante dell'Arma. Il Ros è l'Arma. Gente completamente affidabile. Li ho scelti io tra i migliori. Se ci fosse anche il minimo sospetto su qualcuno, l'Arma l'avrebbe già avvicendato». Francesco Grignettì «Nel 1993 ero capo di stato maggiore dell'Arma, e posso garantire che nulla di ciò è vero Bombe? Accordi? Siamo fuori scena» «In Sicilia c'era già un gruppo speciale dei Ros che dava la caccia a Riina Poi Di Maggio diede alcune informazioni e tutto si accelerò. Ma noi lo avremmo preso lo stesso» A destra il generale dell'Arma Domenico Pisani IL «PABRE»

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