L'enigma Netanyahu oggi alla Casa Bianca

L'enigma Netanyahu oggi alla Casa Bianca «Politicamente lo si potrebbe considerare più moderato di quanto fossero negli Anni 70 Peres e Rabin» L'enigma Netanyahu oggi alla Casa Bianca Yehoshua: un leader che calamita odio ma non rifiuta la pace GERUSALEMME UBANTE i miei anni di liceo ho avuto la fortuna di avere come insegnante un giovane storico divenuto in seguito uno dei più illustri professori universitari d'Israele, famoso studioso dell'Impero Romano. Negli Anni Cinquanta questo insegnante manifestava una beve propensione (solo una propensione però) al marxismo preoccupandosi di indirizzare l'interesse di noi studenti a questioni sociali, economiche e culturali, che costituiscono la base degli eventi storici, tralasciando invece lo studio di condottieri e uomini politici. In quegli stessi anni leggevo con particolare entusiasmo «Guerra e Pace» di Leone Tolstoj e la ripetuta ostinazione con la quale, nei capitoli storici del libro, l'autore cerca di provare che capi e condottieri non cambiano la storia bensì rappresentano meri strumenti nelle mani di grandi e travolgenti forze popolari, suscitò in me una viva impressione. Per molti anni mi sono sforzato di rimanere fedele a questa concezione cercando sempre di intravedere al di là delle iniziative e degli intrighi dei politici l'azione di queste forze sociali o economiche che li riducevano al ruolo di semplici esecutori. Non sono mai stato un entusiasta lettore di giornali né tantomeno un assiduo telespettatore, accontentandomi solo delle trasmissioni radiofoniche per rimanere aggiornato. Ma ecco che nel corso dell'ultimo anno anch'io, come molti altri, mi ritrovo ad occuparmi con insistenza della personalità di Benjamin Netanyahu, lasciandomi trascinare in una sorta di odio condiviso anche da molti giornalisti e da parecchia gente comune. Confesso infatti di provare quasi un senso di ripugnanza personale nel confronti del primo ministro che va al di là delle divergenze ideologiche e del biasi mo per i suoi errori politici. E' que sto un sentimento nuovo per me, che non avevo mai provato nei confronti di precedenti leader della sto ria di Israele quali Menachem Begin o Yitzhak Shamir, pur avendo fermamente disapprovato la loro li nea di condotta politica e rei di errori ben più gravi e pericolosi di quelli commessi da Netanyahu. E qui è bene sottohneare che sebbene Benjamin Netanyahu sia senza alcun dubbio, il prodotto politico del cuore stesso della destra israeliana egli ha tuttavia ratificato gli accordi di Oslo: ha portato a termine il ritiro da Hebron e, con tutta probabilità, compirà presto un ulteriore ri tiro dai territori palestinesi. Riten go inoltre che, in linea di principio, anche se non in via ufficiale, egli sia con ogni probabilità disposto a dare il proprio consenso persino alla creazione di uno Stato palestinese. Da un punto di vista politico lo si potrebbe quindi considerare più moderato di quanto fossero negli Anni Settanta i due vincitori del premio Nobel per la pace: Shimon Peres e il defunto Yizthak Rabin. Cionondimeno mi ritrovo a condividere il contenuto dei numerosi e taglienti articoli, traboccanti di dissenso e odio verso il capo del gover¬ no, incentrati principalmente su come provocare al più presto la sua caduta, quasi che fosse una sorta di nuovo Nerone o Caligola. Ritengo giusto raccontare tutto questo al lettore italiano in quanto alcune settimane fa sono stati pubblicati su giornali diversi, da due famosi giornalisti di sinistra, un paio di lunghi articoli nei quali veniva tentata un'analisi delle cause dell'odio verso Benjamin Netanyahu. Nel primo, pubblicato da mi giornale della sera e improntato a un tono faceto e leggero, l'autore cercava di dimostrare come il disprezzo per Natanyahu non fosse altre che un'espressione dell'odio provato contro noi stessi, contro tutto ciò che ogni israeliano considera come caratteristiche negative della propria «israelianità»: la capacità di «cavarsela», l'inaffidabilità, l'instabilità ideologica, l'improvvisazione, l'edonismo, l'arroganza e soprattutto l'arte di manipolare i mass media da un lato e la completa dipendenza da quest'ultimi dall'altro. Il secondo articolo, più serio, più lungo, e anche più audace è apparso sul quotidiano «Ha Aretz», il più autorevole e liberale dei quotidiani israeliani, firmato da un giornalista dichiaratamente di sinistra il quale ha trascorso alcune settimane in compagnia di Netanyahu allo scopo di seguirne l'operato. Pur non trattandosi di un articolo favorevole al primo ministro l'autore si scaglia tuttavia contro il disprezzo e l'odio che la sinistra dimostra verso il capo del governo, contro l'immagine «demoniaca» di quest'uomo e contro l'insistente tendenza a spulciare nella sua vita privata e nel comportamento della moglie per cercare di colpirlo in maniera indiretta. Quest'ultimo articolo ha solleva¬ lo reazioni contrastanti: alcune favorevoli, molle altre critiche e dure. Da parte mia ho cercato di mantenere una massima obiettiviià. Tuttavia non sono ancora convinto che l'uomo Netanyahu non meriti tutto l'odio e l'ostilità dimostrati nei suoi confronti e che nessuno sforzo vada risparmiato per destituirlo. Perché ora non ci troviamo più di fronte ad una semplice questione teorica bensì si impone una subitanea e decisa presa di posizione politica. E' chiaro a tutti in Israele che solo un governo di una unità nazionale foimato da forze di sinistra e di destra potrà porre termine al conflitto israelo-palestinese e raggiungere un accordo definitivo. E' anche chiaro che a Netanyahu, con la risicata maggioranza parlamentare che si ritrova dopo le dimissioni del ministro degli Esteri e il ritiro dei rappresentanti del suo partito dalla coalizione, e più che mai necessario l'appoggio del partito laborista. Solo un'unione di forze gli permetterà infatti di affrontare l'ala destra della sua coalizione, avversa ad ogni nuovo ritiro dai Territori occupati. Pare tuttavia che nel partito laborista l'odio e il dissenso nei confronti del premier siano talmente grandi che i suoi rappresentanti rifiutano qualsiasi collaborazione con lui. Determinati a destituire Netanyahu e ad indire al più presto elezioni anticipate non risparmiano alcuno sforzo, pur consapevoli che il processo di pace dovrà così subire una battuta di arresto e ne uscirà danneggiato, hi questo caso la componente personale si contrappone a considerazioni pratiche e di carattere politico. E anch'io, che solitamente mi reputo capace di ferme prese di posizione politiche, mi trovo in imbarazzo, quasi che l'antipatia personale, che ho sempre tentato di fuggire, abbia preso in me il sopravvento, offuscando ogni capacità di lucido pensiero. A. B. Yehoshua WASHINGTON. E' l'incontro più gelido per il processo di pace: il presidente americano Bill Clinton riceve oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu, le cui posizioni negoziali irritano Washington, e di fatto non ha idee nuove in tasca per rivitalizzare gli agonizzanti colloqui per il Medio Oriente. L'incontro è dominato dalla freddezza: sarà una sola conversazione di un'ora, dovrà toccare solo i rapporti israelo-palestinesi (e non i problemi regionali su cui Netanyahu vorrebbe dirottare l'attenzione), non ci sarà una cena o un pranzo in onore dell'ospite, Netanyahu non sarà ospite del Presidente nella residenza della Blair House, e i due leader non terranno una conferenza stampa congiunta. «Riteniamo che questa visita debba svolgersi così» ha detto seccamente il portavoce presidenziale Barry Toiv. Il presidente palestinese Yasser Arafat ha brandito la minaccia di una nuova Intifada se non si sblocca il processo di pace. «Siamo pronti a tornare ai nostri inizi ed a ricominciare con sette anni di Intifada», ha detto Arafat a Gaza aggiungendo: «Noi vogliamo una pace dei giusti e non una pace dei deboli, vogliamo la pace palestinese che porti a uno Stato con Gerusalemme per capitale e non la pace di Benyamin Netanyahu». I palestinesi hanno accusato Israele, che ha ancora rimandato qualsiasi decisione sull'estensione del ridispiegamento in Cisgiordania, di voler far fallire i cruciali colloqui di questa settimana a Washington. Gli israeliani vengono inoltre accusati di proseguire oltre ogni tolleranza la loro politica di colonizzazione e di adottare un atteggiamento intransigente a proposito del ritiro delle loro truppe in Cisgiordania. [Ansa] Il premier Netanyahu e la moglie salutati dai membri del gabinetto alla partenza da Israele per Washington LO SCRITTORE PACIFISTA