Lo scisma degli ebrei italiani

Lo scisma degli ebrei italiani I Rabbini vogliono limitare le conversioni dei figli nei matrimoni misti ed è guerra Lo scisma degli ebrei italiani Ortodossi e laici, 7 giorni alla separazione? MILANO DAL NOSTRO INVIATO «Caro Bollettino, è l'8 settembre e mio figlio Arturo non è insieme ai suoi compagni di asilo al ritorno dalle vacanze. I suoi amici Micol, Giulia, Davide, Alessandro, Federico e Debora si chiedono perché. Il fatto è che, al nuovo fratellino di Arturo, che nascerà tra poco, non sarà permesso di frequentare la stessa scuola: lui non sarà "abbastanza" ebreo, neanche quanto suo fratello già tanto discusso...». La lettera al giornale degh ebrei milanesi è firmata da Daniele Cohen, nipote del presidente della Comunità, Cobi Benatoff. Se Arturo era «già tanto discusso», nella scuola ebraica di via Sally Mayer, dipende dal fatto che la madre, Laura, non è ebrea. Nel caso inverso, cioè quando a contrarre «matrimonio misto» sia una donna ebrea, il problema non si pone: secondo la norma dell'Halachà la trasmissione della discendenza è matrilineare, dunque i nati saranno ebrei a prescindere dalla volontà dei genitori. Ma dove invece si rende necessario un atto di conversione, lì è scoppiata la guerra, e già rimbomba l'eco della parola «integralismo». La risposta a Daniele Cohen e ai molti altri come lui sarebbe infatti arrivata come uno schiaffo nel giro di poche settimane dall'assemblea dei Rabbini d'Itaha riunita in seduta plenaria a Fi renze. La delibera che ha portato sull'orlo della scissione la più an tica comunità ebraica del mondo, per la prima voltà'nei suoi oltre Duemila anni di storia, reca la data del 2,9 Tishrì £758, cioè del 30 ottobre "Ì997: esaminato «il delicato problema della conversione dei bambini nati da madre non ebrea», considerato che «le condizioni socio-culturali non sono più quelle di un tempo», «TAs semblea dei Rabbini d'Itaha ha deciso che da oggi e per l'aweni re, per quanto riguarda le conversioni dei minori, potranno essere prese in considerazione solo quelle domande che siano accompagnate da un'analoga istanza di conversione da parte delle madri». La spaccatura è profonda. Il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, non esita a rendere pubblico il suo dissenso, precisando che quella delibera non potrà interferire con l'autonoma decisione, caso per caso, dei singoli tribunali rabbinici. Ma se l'assemblea presieduta dal milanese Giuseppe Laras l'ha votata, ignorando l'opposizione del vecchio leader spirituale dell'ebraismo italiano, ciò non dipende solo dal fatto che i nuovi rabbini quarantenni si sono formati nelle yeschivot più ortodosse di Brooklyn e Gerusalemme: dietro di loro c'è l'altra parte della comunità italiana che preme per una più rigorosa osservanza dei precetti, per una più netta distinzione tra ebrei e non ebrei. Il momento della verità probabilmente si vivrà domenica prossima, 25 gennaio, quando l'assemblea dei rabbini tornerà a riunirsi a Milano, questa volta in seduta pubblica aperta a tutti gh ebrei, proprio nei locali della scuola milanese ove si erano scatenate le prime polemiche: genitori (per lo più di origine libanese e iraniana irnmigrati negh Anni Settanta) che lamentano il poco spazio assegnato allo studio religioso e la convivenza forzata dei propri figh con altri non propriamente ebrei; genitori (soprattutto di antica origine italiana, ma ormai sono la minoranza) che invece denunciano le continue invadenze clericali e soprattutto un clima discriminatorio nei confronti dei figh di <anatrimonio mi sto». Se si sceghesse di andare alla conta, la conseguenza più proba bile sarebbe la separazione tra laici e ortodossi, le due compo- nenti contrapposte. Adesso gli estensori della delibera sottolineano di avere agito «in conformità con le direttive e gli orientamenti» di tutto il rabbuiato ortodosso mondiale. Ma sanno benissimo corate- in tU«o il reste del mondo la separazione degh ebrei tra ortodossi, conservatori e riformati sia già una realtà di fatto. La minuscola comunità italiana (poco più di trentamila iscritti) è forse l'ultima a rimanere unita, e per conservarla tale non è escluso che i rabbini domenica prossima si mostrino disponibili a una parziale marcia indietro. Ma fino a quando? Ecco un buon punto di partenza per fare i conti con i nuovi guardiani della fede integrale che cambieranno la faccia della nostra società. Sì, perché l'esame in vitro della microscopica ma affascinante galassia dell'ebraismo italiano, di tradizione laica e felicemente integrato nella comunità nazionale, colpito sessantanni fa dalle leggi razziali e dalle deportazioni ma rifiorito con una vitalità culturale perfino sproporzionata alle sue dimensioni ridotte, ci rivela come l'Assoluto possa irrompere dentro la nostra quotidianità nei modi più sorprendenti. Vorrà dire qualcosa se proprio qui, dove meno te le aspettavi, sopraggiungono le prime lacerazioni intestine di una storia millenaria. Vorrà dire che nella società mondializzata le ragioni e le tradizioni di un Mouhaddeb arrivato da Beirut o di un Mizrahi giunto da Teheran a Milano, contano giustamente alla pari con quelle di un Fubini torinese o di una Zevi romana da sempre. I guardiani della fede ci rivelano un dettaglio ulteriore deha tendenza al ridimensionamento dello Stato, che rilancia l'agire privato, per conto proprio, non solo in materia economica ma anche religiosa, comunitaria, scolastica. E intanto chi si sente tagliato fuori dai meccanismi ineluttabili del profitto e del consumo, o comunque ostile alla cultura dominante deÈOvest, che sia ebreo, musulmano o cristiano, sempre più dopo la caduta del comunismo cercherà nel Divino l'ispirazione del proprio antagonismo, della propria opposizione a una società atea che la Ragione non sa più tenere insieme. E' venuto il tempo di ricercare anche in Italia, dentro le nuove identità assunte dalle tre grandi religioni del Libro, la radice comune di quei ragionamenti in seguito a cui il cattolico polacco chiede l'abrogazione della legge sull'aborto, l'ortodosso israeliano interrompe la circolazione degli autobus il sabato, il funzionario saudita vieta per legge che si mangi in pubblico durante il Ramadan. Con lo scopo di realizzare quanto più possibile su questa Terra una società cristianizzata, mia società ebraicizzata, mia società islamizzata. Basta sfogliare le numerose lettere con cui è stato preso d'assalto il Bollettino di Milano per ritrovarvi più volte la parola «integralismo». Andrea Jarach rifiu- ta «la fredda applicazione della legge del sangue» e denuncia: «Con orrore dobbiamo constatare che i titoli non sufficienti all'ammissione alla scuola ebraica di Milano del 1997 furono sufficienti per l'ammissione a Auschwitz». Altri replicano, nelle riunioni più infuocate, che «come minaccia al futuro del popolo ebraico il matrimonio misto è peggio di Auschwitz». Giacomo Michele Zippel rivendica il diritto di «sapere se i miei figli, frequentando la scuola ebraica, ma anche al di fuori di essa, frequentano ebrei o non ebrei», mentre Marco Vigevani si interroga: «Quali semi di razzismo semineremo, al nostro interno ma anche intorno a noi, dividendoci in ebrei più o meno "doc" a seconda del nostro sangue?». Si potrebbe continuare a lungo, con tutte le mille sfumature di cui sono capaci gh ebrei quando si dividono. Ci sono anche i genitori religiosi praticanti che rifiutando «la riproposizione di classi speciali» e «l'assunzione di nuovi insegnanti espressione di gruppi integralisti», indignati per «l'esclusione dalla scuola di bimbi che non presentino certificato di totale purezza razziale», sottoscrivono 20 milioni ah'associazione Shorashim (vuol dire «radici» in ebraico). Quest'ultima realizza al sabato mattina incontri di cultura ebraica per figli e nipoti di famiglie miste, e le sue iscrizioni si sono raddoppiate nel giro di un anno. Bisogna esserci stati, il sabato mattina in via San Gimignano. Di fronte ai locali che ospitano Shorashim c'è un giardinetto, e sulle panchine siedono con le loro barbe nere e la kippà sul capo gli ebrei d'origine iraniana provenienti dalla sinagoga che hanno fondato nella limitrofa via dei Gracchi. I loro sguardi esprimono una silenziosa ma dura riprovazione per quei mezzi ebrei laici che oltretutto violano lo shabbat proprio con la scusa di coltivare il proprio incerto ebraismo. Dialogare con gh iraniani, così come con le famiglie libanesi, implica anzitutto l'impegno a mantenere l'anonimato. Tre fratelli mi ricevono in un ufficio commerciale del centro: «Convertirsi all'ebraismo è possibile solo con anni di studio, e per estremo scrupolo gli ultimi dodici mesi dovranno essere di convivenza con un rabbino», sostengono. L'obbligo di una tale procedura mi verrà peraltro smentito da tutti i rabbini interpellati, ma è chiaro l'intento: «L'unico futuro dell' ebraismo risiede nel rispetto dei precetti e nello studio della Torà. I laici che lo trattano alla stregua di una cultura flokloristica, ne sono gh affossatori. Ma noi lo salvere mo». E i vecchi rabbini come Toaff, più aperti e tolleranti, ca paci da sempre di tenere insieme le molte anime della comunità? Risposta: «E' mi'altra generazio ne, dobbiamo capirli, hanno vis suto la guerra. Magari qualcuno di loro è stato nascosto da una donna non ebrea, ci ha fatto dei figli, come poteva rifiutarle le conversioni? Ma noi sappiamo di troppe convertite solo per incassare un miliardo di eredità». Come tra gh islamici e i cristia ni, anche tra i guardiani deha fede ebraica ci si preoccupa di co niugare tradizionalismo con modernità, precetti con nuove tecnologie. Ma alla fine trapela sempre l'idea che questo nuovo mondo ateo costituisca una minaccia per la comunità dei credenti. Per essere buoni ebrei, secondo questa visione, bisogna diffidare e rinunciare, collocarsi altrove. Lo scrive con chiarezza il giovane rabbino capo di Torino, Alberto Somekh, che accompagna la sua fama di inflessibile con una meravigliosa voce salmodiarne, in una lettera ove motiva la delibera sulle conversioni. Premesso che la formazione di ima famiglia ebraica richiede oggi un impegno superiore al passato, così lo illustra: «E' giocoforza frequentare un ambiente sempre meno numeroso, coltivare ideali e linee di comportamento talvolta lontani dal consenso sociale, ridurre assai l'orizzonte delle proprie scelte matrimoniali». Tutto ciò, oltretutto, «in un mondo senza confini, continuamente bombardati da attraenti alternative!». Di qui all'idea dell'ebreo solo contro tutti, il passo è breve. Una posizione estrema? E' probabile. Ma il rabbino romano Mino Bahbout, animatore del Tempio dei giovani sull'Isola Tiberina, pur distinguendosi esprime comprensione nei confronti di rav Somekh: «La sua rigidità ha un senso a Torino perché lì non esiste mia società ebraica forte». La piccola comunità torinese, infatti, è storicamente la più laica, simboleggiata dalla figura di Primo Levi e dalla prassi di tenere aperta la propria scuola ai non ebrei. Il rabbino Bahbout, docente di fisica, ricorre al linguaggio scientifico: «Statisticamente le probabilità di riprodursi di una comunità ebraica "umanistica", priva di forti radici religiose, sono più scarse. Col nostro metodo non diniinuirà il numero degh ebrei italiani ma, al contrario, lo aumenteremo». Al secondo piano del Tempio grande, affacciato sul Tevere, incontro l'ultraottuagenario rabbino Elio Toaff e il suo sorriso saggio è di quelli che scaldano l'anima, la sua ironia crea comphcità. Rav Toaff, devo chiederglielo: esiste un integralismo ebraico? «Certo che esiste, purtroppo. Consiste nel desiderio di isolarsi e di coltivare il proprio ebraismo in una cerchia ristretta di persone che la pensano allo stesso modo. Ciò contrasta con la dottrina ebraica che implica sempre la di scussione per giungere insieme alla soluzione giusta. Per questo non abbiamo mai messo all'indi ce chi non praticava, non h ab biamo mai giudicati bensì ritenu¬ i tutti degni della stessa attenzione». Non ha senso chiedere altro al vecchio rabbino, partigiano e livornese, scavalcato dal rigorismo dei più giovani ma preoccupato di mettere la sua autorità morale al servizio di una unità sempre più difficile da preservare. Dunque la scissione è davvero possibile? A Milano il pittore e pensatore ebreo Stefano Levi della Torre parla di «ossessione identitaria» come matrice comune dell'integralismo che dà luogo alla formazione di «grappoli di tribù». Levi prevede semmai la via della scissione di fatto. Non è forse già accaduto? La scuola ortodossa aperta in via Ripamonti dai Lubavitch, il vasto movimento hassidico con sede a Brooklyn e ramificazioni hi tutto il mondo, ospita già 170 bambini destinati a studiare più ebraico e più religione di quanto non tocchi ai 600 di via Sally Mayer. Rav Avraham Hazan, 45 anni, nerovestito direttore della scuola, è un tipo di ebreo innamorato deh'argomentare spaccando il capello in quattro, fin dal telefonino: «Pronto, rav Hazan, potremmo vederci oggi?» «Mi spiace, oggi è impossibile. Perbacco, mi correggo, in verità nulla è impossibile grazie al Santissimo e Benedetto sia il Suo nome, ma se permette preferirei lunedì». E il lunedì mi spiegherà che i Lubavitch, in quanto corrente dei Hassidim, sono un movimento giovane. «Giovane? Ma i Hassidim non furono fondati all'inizio del Settecento?» «Appunto. Per noi ebrei cosa vuole che siano tre secoli?» Il resto deha conversazione è di grande interesse per comprendere il risveglio, anche a Milano, della mistica e della spiritualità ebraiche. In fondo a Hazan importa poco la polemica sulle conversioni, «noi Lubavitch siamo come la luce, e la luce non bada a chi illunùna», tanto più che la conversione può spiegarsi con il fatto che in realtà «c^ieU'anima appartenesse già al nostro popolo, vuole farvi ritorno dopo essere finita chissà come altrove». Ma a un certo punto è rav Hazan a interrogare me: «Scusi, cos'è per lei l'integralismo?» «Integralismo è la pretesa di imporre come leggi vincolanti per tutti le proprie regole religiose». «Dunque secondo lei i rabbini dovrebbero consentire il funzionamento degli autobus di sabato a Gerusalemme?». «Certo, nessun ebreo può essere obbligato a salirvi o a guidarli, ma non vedo perché i non ebrei o gh ebrei non praticanti dovrebbero andare a piedi». «Ma allora lei consentirebbe pure a uno spacciatore di vendere droga nel suo quartiere?» «Rav Hazan, non la seguo. Rifiuto l'analogia tra un delinquente e colui che non osserva il riposo sabbatico». «Allora cambio esempio: non protesterebbe contro l'apertura di un pornoshop nel quartiere in cui abitano i suoi figh?». «Niente affatto. Magari sconsiglierei loro di votarsi a quel tipo di sessualità, ma la cultura laica resta faccenda diversa dalla pornografia». «Molto interessante, caro amico. Dovremmo continuare a discutere per rispondere a una domanda che mi arrovella». «Quale, rav Hazan?». «Questa: come è possibile rispettare certe regole che la Torà ci impone senza cadere nell'integralismo?». «Bella domanda davvero. Chissà se sapranno rispondere i musulmani d'Italia». Gad Lerner (1. continua) La comunità italiana (30.000 iscritti) è forse l'ultima a rimanere unita Ma Elio Toaff non nasconde il suo dissenso «Quella sentenza non intaccherà l'autonomia dei tribunali rabbinici» E dopo 2000 anni rimbomba l'eco della parola «integralismo» I rabbini di Milano e Torino, Giuseppe Laras e Alberto Somekh Nella foto qui sotto lezioni alla scuola ebraica di Milano Qui accanto il rabbino capo di Roma Elio Toaff A sinistra la comunità ebraica Hassidim di Milano