«Ho dato uno chance a Paula»

«Ho dato uno chance a Paula» INTERVISTA «Ho dato uno chance a Paula» Il filantropo che pagherà le spese legali JOHN WET54EHEA® WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Se sono contento? Beh non esageriamo. Mi hanno dato del matto, e in più mi sta costando parecchi soldi. Ma cosa vuole, il problema delle molestie sessuali nel nostro Paese è una cosa seria. Lo sa che soltanto l'un per cento deUe accuse risulta falso?». John Whitehead, 51 anni, avvocato, sposato, cinque figli, libertario con forti convinzioni cristiane, è l'uomo che ha permesso a Paula Jones di portare avanti la sua causa contro il Presidente. Lo abbiamo raggiunto per telefono al Rutherford Institute, un'associazione che fondò a Charlott esville (Virginia) nel 1981 per difendere i diritti dei perseguitati che non hanno i soldi per difendersi. Che tipo di perseguitati? «Ebrei ortodossi che non potevano praticare i loro riti. Nazisti americani incarcerati per le loro attività di propaganda. Comunisti discriminati durante la Guerra fredda. Roba di questo genere». E Paula Jones che c'entra? «Perché è una vicenda che tocca i diritti civili. Ognuno deve poter difendere il proprio nome e il proprio onore. Non per nulla il nostro istituto è dedicato alla memoria di Rutherford». Chi era? «Samuel Rutherford era un prete scozzese del Seicento. Nel suo libro - "Lex, Rex" - argomentò appunto che nessuno è al di sopra della legge, neppure il sovrano». Quando ha contattato la Jones? «Lo scorso settembre. Lessi sui giornali che i suoi avvocati si erano dimessi perché lei si era rifiutata di patteggiare. Non aveva i soldi per prendersi un altro legale. Allora la chiamammo al telefono, andammo ad incontrarla in California, ci convincemmo che stava dicendo la verità e le offrimmo di aiutarla». Da dove vengono i vostri soldi? «Abbiamo un fondo alimentato da piccole donazioni. Ma la rete è molto ampia: 44 mila soci in tutto il Paese. Abbiamo anche chiesto alla Jones di scrivere una lettera-appello per sollecitare più offerte». E com'è andata? «Molti hanno reagito male. La mia posta elettronica è piena di insulti. I democratici mi accusano di gettare fango sul Presidente. I conservatori sono schifati dall'aspetto sessuale della vicenda. In tutta franchezza la raccol¬ ta di fondi ha avuto poco successo». Avete subito pressioni dalla Casa Bianca? «Eccome. Gli avvocati di Clinton hanno chiesto al giudice di poter vedere l'elenco dei nostri contribuenti. Volevano dimostrare che la nostra era una campagna politica, e che dunque non avevamo diritto alle esenzioni fiscali di un'associazione "non-profit"». E com'è andata? «Che il giudice li ha mandati a passeggio». Cosa pensa di Clinton? «Penso che sia un buon Presidente. Il suo ritratto è appeso all'entrata dell'istituto. Siamo un'associazione patriottica, che rispetta le istituzioni. Abbiamo appena diramato un comunicato stampa elogiando la sua posizione contro la clonazione umana. E poi Clinton si è dato da fare per la libertà religiosa in questo Paese più di qualsiasi altro presidente degh ultimi anni». Lo conosce? «Sì che lo conosco. Le dirò di più: sono stato suo studente nel 1974, quando Clinton insegnava alla facoltà di legge dell'università dell'Arkansas a Little Rock. Eravamo coetanei». Cosa ricorda di lui? «Era tornato in Arkansas dopo aver lavorato per la campagna elettorale di George McGovern e stava per lanciare la sua prima campagana elettorale. Io scrivevo per il giornale universitario e un giorno, molto tardi, sarà stata mezzanotte, riuscii finalmente a inchiodarlo e a fargli una lunga intervista notturna. Parlammo di politica, ma anche di Bob Dylan. E di quel film con Robert Redford, "Il candidato". Poi, negli anni, ci siamo persi di vista». [a. d. b.l «La mia associazione difende i più deboli Quand'ero studente ebbi Bill professore» Bennett, l'avvocato di Clinton

Luoghi citati: Arkansas, California, Little Rock, Virginia, Washington