Il comizio papale di Fide! di Gabriele Romagnoli

Il comizio papale di Fide! Sei ore di discorso tv: «Giovanni Paolo II non arriva per far cadere il comunismo» Il comizio papale di Fide! «Il santo viene da questo demonio» L'AVANA DAL NOSTRO INVIATO Dalle nove di sera alle tre del mattino, sul campo di battaglia della televisione cubana, il comandante Castro ha combattuto per sei ore. E' andato all'assalto del capitalismo e della globalizzazione, dell'economia di mercato e del sistema elettorale occidentale. Si è annesso il Papa, piazzandolo idealmente dalla sua parte della barricata e ha provocato Clinton, invitandolo, più ironicamente che diplomaticamente, a Cuba. Ha proclamato la sua «colosal Victoria» e annunciato la sua presenza alla Messa nella Plaza de la Revolución. Ha dissolto le illusioni degli esuli di Miami e di quanti confidano che Giovanni Paolo II («gli chiederò un passaporto per il Cielo») sarà una mina all'Avana. Ha disperso in aria, con gesti da seminatore, retaggi di grandezza; evocato, con lo sguardo, barbagli di furore. Ha combattuto e vinto: testimoni per la storia quattro scrivani locali, avvolti in un sudario di rispetto, paralizzati nel rito dell'assenso. Ha disperso le truppe e cancellato l'onore di tutti i nemici assenti. L'unico a cui non ha saputo tenere testa era il solo avversario presente: lui stesso. Indifeso di fronte al proprio solipsismo, incapace di arginare la propria logorrea, ^differente ai segni inequivocabili del tempo, Fidei Castro rischia di trasformare un'esperienza epica in una parodia della grandezza e il sogno di un popolo nell'avventura di un uomo. Appare in televisione alle nove, con la consueta divisa militare. Il cipiglio fiero non maschera la stanchezza che s'insinua nello sguardo. Le mani spesso congiunte non impediscono ai movi menti improvvisi di rivelarsi in naturali, condizionati da mah non del tutto superati. L'eloquio è lento, le pause craxiane (la più lunga: quattordici secondi), le parole sottolineate («coscien za!»), gli aggettivi arrotati («trrrremenda!»), i concetti ripetuti, talvolta a discredito dell'intelligenza dell'uditorio. Se vestisse in borghese e parlasse italiano sarebbe Giuseppe Ungaretti quando faceva la prefazione all'Odissea televisiva: epico e didascalico, terminale e grandioso. Recita un inedito «monologo omerico» ed è assurdo che abbia sentito il bisogno di camuffarlo da conferenza stampa, convocando quattro giornalisti cubani a disperdere il già esiguo credito della categoria professionale: uno domanda e Castro risponde, ininterrotto, per un'ora e venticinque minuti; lo guardano fisso, non si sa se attoniti o rapiti; prendono appunti anche durante i lunghi silenzi. Nuccio Fava, in piedi nella sala dove assistiamo all'evento, invoca giustamente una rivalutazione delle sue tri- bune politiche. Per le prime tre ore il comandante celebra la vittoria elettorale, elogia il sistema di voto che l'ha determinata, constata che «mentre in tutto il mondo cresce l'astensionismo, a Cuba sono aumentati i votanti». Alza un dito, poco fermo ma molto ammonitore, contro gli esuli che «avevano già le valigie pronte per tornare» e sono stati respinti da questa «trrrremenda proya di democrazia». Annuncia «il declino del capitalismo», invita a «non dormire sugli allori» e di se stesso dice che non lo farà, preso com'è «dalla politica, dal raccolto della canna da zucchero, eccetera, eccetera». Conclude, con apparentemente commozione, ringraziando il suo popolo. Allo scoccare di questa frase, e della mezzanotte, sembra che l'intervento sia finito e che la visita del Papa sia stata trascurata, invece Castro ha ancora benzina per tre ore e fiammiferi per accendere i fuochi artificiali. Alla domanda «Che impressione ha del Papa?» il comandante diventa pirotecnico. Dice, con un tono da medium che evoca uno spirito alla sua presenza, che di Giovanni Paolo II ha «piena stima, è un uomo amabile e rispettoso, preciso, un ascoltatore attento e con cui è facile parlare, anche perché conosce bene lo spagnolo; ha tempra di lottatore che si è forgiato tramite dure esperienze e una gioventù sportiva». Annuncia che la sua visita avrà un impatto «trrremendo» in tutta l'Europa. Spegne le illusioni di chi «si illude di smantellare la rivoluzio- ne attraverso la visita di un uomo che rappresenta il maggiore mal di testa per gli Stati Uniti». Dice: «C'è chi vede il Papa come un angelo sterminatore con la spada di fuoco che vuole distruggere il socialismo e il comunismo a Cuba, ma non è così». Spiega che «Giovanni Paolo II è più vicino a noi di quanto si pensi, viene a Cuba per incontrare questo demonio di Castro e vediamo cosa ne uscirà». ...... Ricorda che «alla conferenza mondiale sull'alimentazione i discorsi più simili furono il suo e il mio». Gli riconosce «coraggio e buona fede», lo issa con sé sulla barricata contro il capitalismo senza regole, il neo-liberismo, la globalizzazione, il presidente degli Stati Uniti. A Clinton rivolge un invito, più beffardo che autentico: «Venga a Cuba a parlare del suo modello economico e politico, non ho obiezioni, lo accoglierò e gli metterò a disposizione tutti i mezzi di informazione». Dopo quattro ore e mezzo di discorso alle truppe, la strategia del comandante si disvela: creare una ideale alleanza che imbarazzi il nemico, avvicinando a sé, in nome dell'opposizione ai disvalori altrui più che della condivisione dei valori propri, un uomo che non ha eserciti, ma smuove continenti. In cam- bio di un segno di legittimazione, apre lo scrigno delle concessioni. Ammette «gli errori storici dell'Unione Sovietica» con cui il Papa ha lottato «per le tradizionali divisioni rispetto alla Polonia», ma soprattutto annuncia la sua storica presenza, domenica 25 gennaio in Plaza de la Revolución alla Messa papale. «Sarò, là ad accoglierlo», sul palco, sotto le insegne di Dio e della Rivoluzione, al cospetto di una folla che egli stesso invoca chiedendone la partecipazione in massa, come agli eventi del partito, ma senza i suoi simboli. Come ultimo regalo, per questa occasione speciale, concede al popolo cubano che non potrà essere all'Avana anche la diretta televisiva della Messa «concelebrata». E' tutto. Sono passate sei ore. Un gesto benedicente e il comandante si ritira. Le radio cominciano a trasmettere significativi sunti del suo discorso. Radio Reloj, innovativa forma di tortura che emette il segnale orario con un trillo a ogni minuto, alterna annunci cronometrici e frasi del monologo, in un cammino congiunto in cui la parola di Castro si fa segno del tempo e scansione della storia. Il messaggio viene ritrasmesso in lontane stanza vaticane dove un altro uomo «che non è un angelo sterminatore», si prepara a incontrare quest'uomo «che non è un demonio», nel cuore di questa isola che, come ogni luogo della Terra, è solo una delle tante stanze del nostro collettivo purgatorio. Gabriele Romagnoli Beffardo invito a Clinton: «Venga a Cuba per parlare del suo modello economico e politico» L'Avana attende Giovanni Paolo II mentre Fidel Castro (nella foto sotto) arringa i cubani in tv