Spezzare quel filo di vergogna per far crescere la «Cosa 2» di Pierluigi Battista

Spezzare quel filo di vergogna per far crescere la «Cosa 2» No a una rilettura demonizzante del passato: la divisione in «buoni» e «cattivi» può produrre esiti precari Spezzare quel filo di vergogna per far crescere la «Cosa 2» CROMA ON ammirevole franchezza (e ancor più ammirevole là dove le imperiose ragioni del tornaconto personale consiglierebbero invece maggiore prudenza e duttilità) Giuliano Amato va sostenendo in questi giorni che nessuna ope: azione politica, per quanto ambiziosa e lungimirante essa appaia, può l'ondarsi sul sistematico rimaneggiamento della storia ad uso dei vincitori e sul corrivo desiderio di umiliazione del soggetto che si presenta all'appuntamento in condizioni di debolezza e di minorità. Indicato in passato come il principale destinatario della proposta dalemiana di una «Cosa 2», Amato eccepisce invece che la diaspora socialista non può partecipare con il capo cosparso di cenere alla cerimonia di riunificazione con i cugini ex comunisti e di rammendo dello strappo di Livorno: «Se c'è anche un solo filo di vergogna a parlare del mio passato perché lo si ritiene sconveniente, ciò mi provoca un disagio personale e politico per cui un progetto comune non mi interessa». Amato sbaglia per difetto: per la vulgata politico-storiografica che attinge a piene mani dall'arsenale simbolico dell'e popea di Mani pulite il passato socialista non è fonte soltanto di un esile «filo di vergogna», ma viene identificato con una veemenza non mitigata dal tempo come il riassunto e il condensato del Male politico, equiparato a vicenda esclusivamente criminale, ridotto a macchina di mazzette e ad apparato di smistamento di tutte o quasi tutte le ruberie d'Italia. Al di là delle vicende giudiziarie e delle responsabilità penali, è l'intera avventura politica che si è identificata in Bettino Craxi e nel «craxismo» (come non ricordare la furiosa caccia al «Cinghialone»?) ad assere assunta come paradigma del malaffare e della corruzione, come sentina di ogni vizio e rappresentazione plastica della degenerazione tangentocratica della democrazia italiana. L'equazione craxiano=ladro, del resto, è stata ampiamente introiettata nella pubblicistica e nel senso comune, nel linguaggio corrente e nei criteri di valutazione divulgati dalla stampa e negli ultimi tempi persino nella storiografia «ufficiale». E per restituire un'immagine politicamente immacolata di Giorgio Strehler all'indomani della morte del regista, gli addetti alla ripulitura ideologica della storia non hanno forse dovuto inventarsi la fama, manifestamente insensata e priva di fondamento, di uno Strehler «socialista» ma «anticraxiano» della prima ora? Amato ha dunque ragione di ribellarsi a una rilettura così manichea e demonizzante del passato socialista (e «craxiano»). E aggiunge che su un terreno di così palese manipolazione storica la mano tesa ai naufraghi del socialismo finisce per somigliare a un atto di sottomissione che gli sconfitti devono ingoiare al cospetto di chi elargisce patentini di legittimità e certificati di buona condotta. Ha qualcosa da obiettare infine all'idea che i socialisti debbano salutare il secolo che se ne va (il secolo dei totalitarismi, dei lager e dei gulag) piegati dal fardello della vergogna come accadde ai «vinti» della Seconda guerra mondiale, non foss'altro perché il patrimonio culturale e ideologico dell'ancora imprecisata «Cosa 2» - la scelta dì un moderno riformismo; una sinistra ancorata ai princìpi dell'economia di mercato e rispettosa senza riserve mentali dei valori democratici; una valutazione tutt' altro che denigratoria dell'esperienza storica delle socialdemocrazie e del laborismo - si è storicamen te forgiato in Italia proprio nelle vicinanze della casa «craxiana» e spesso in feroce contrapposizione (come ammette one Stamente ««anche il* pidiessino Minniti) con il partito dai cui lombi è nato il centro propulsore della nuova «smiBtrardéfflòf cratica». Non foss'altro, anche, perché non si può dimenticare che uno dei pedaggi più pesanti al rigore finanziario che sta portando l'Italia in Europa stato pagato dagli italiani con un governo diretto da un socialista (per giunta «craxiano») co me Amato. La forzata negazione di questa verità elementare (forzata da un clima culturale intossicato dall'ossessiva ricerca di un capro espiatorio su cui proiettare l'immagine consolatoria di una storia rigidamente divisa in «buoni» e «cattivi») non può che produrre esiti effimeri e precari. Non può inoltre che lasciare una densa scia di risentimenti l'immagine poco edificante dei presunti «complici» del craxismo che si sottopongono alle forche caudine della «riabilitazione» per entrare nella scialuppa dei «salvati» e abbandonare al loro destino i reprobi «sommersi». Conviene scriverla per intero, la storia italiana. Ed è anche più giusto così. Pierluigi Battista Giuliano Amato

Persone citate: Bettino Craxi, Giorgio Strehler, Giuliano Amato, Minniti, Strehler

Luoghi citati: Europa, Italia, Livorno