Chi ha paura di Ceronetti? di Guido Ceronetti

Chi ha paura di Ceronetti? Chi ha paura di Ceronetti? E parole di un poeta, e tanto più di un poeta «apocalittico», esigono una lettura non soltanto corticale ma midollare, una sia pur elementare decodifica. Non mi sembra che l'articolo di Guido Ceronetti sul «lettore incompreso» pubblicato meritoriamente da «La Stampa» abbia ottenuto piena giustizia (con l'eccezione di Montanelli) da parte di chi fa i giornali. Anche tra quelli che hanno dichiarato nei suoi confronti un parziale consenso, si avvertiva un certo imbarazzo, una stima e un rispetto dato una volta per tutte. Non si è compresa, perlopiù, la sua denuncia, espressa dagli argomenti e dal corpo vivo del linguaggio, dei luoghi comuni che aduggiano tanta parte della scrittura «quotidiana». Afferma Ceronetti che i lettori non sentono la necessità di troppe notizie, sono addirittura respinti dall'eccesso di informazione. Di qui l'obbiezione, apparentemente sensata, che i giornali, specie quelli italiani, peccano semmai per l'assenza e l'occultamento delle notizie. Ma, a ben vedere, sono le notizie insignificanti e indifferenziate, la pretesa di ispirarsi a imo sternrmatoto^rp^Eche Ceronetti stigmatizza. ' Le pseudonotizie che non hanno '^Jlresa perché eludono i bisogni essenziali: quelli della vita materiale e quelli della vita «psichica», magari inespressi ma proposti e intimati dallo spirito dei tempi. Ceronetti suggerisce come antidoto di calarsi fra la gen te a sentire ciò che pensa e vuole (ed è più che mai inutile, in questo caso, ironizzare sulla gente, alla quale si chiedono soldi e continuità di affezione). Non pretende un appiattimento sulle banalità estemporanee di interlocutori colti al volo o preventivamente reclutati. Si tratta piuttosto di un reciproco capirsi e aiutarsi a capire. La sua richiesta tocca in ultima analisi la piaga, diffusamente avvertita, di un giornalismo autoreferenziale, di articoli scritti per i colleghi di altri giornali o ammiccanti ai vari palazzi che incombono. Sì, le paginate di politica, sindacato, economia che danno conto - in un inameno, protratto romanzo a puntate - delle infinite mediazioni, delle tatti¬ che e pretattiche, delle estenuazioni verbali prima che riesca a enuclearsi, a scoccare, il senso di una notizia vera, di un fatto finalmente individuato e raggiunto. Così, l'attribuzione al giornalismo di ima responsabilità «ansiogena» (è «una vera Officina dell'Ansia») non colpisce in particolare il cedimento al fascino morboso e sadico di certa cronaca nera. Non indulge cioè a una resa edulcorata e rosea della realtà. Proprio lui, invaso da furie profetiche, da «notizie» di portata cosmica e metafisica. Non ripropone la «vexata quaestio» di rendere appetibile il bello, il positivo, l'ottimistico, di applicarsi con pari dedizione e professionalità alla cronaca bianca. L'ansia più tormentosa nasce, a suo dire, dall'ambiguità di titoli e resoconti, dall'incapacità di guardare e restituire una verità nuda che, per quanto crudele, può essere utile e corroborante. Di soccombere allo spirito della doppiezza e della menzogna. Due sono in fondo le cose essenziali che Ceronetti chiede al giornalismo, «illuminazione e compassione». E' difficile, per chi abbia retta coscienza e insieme pratica di giornali, non consentire alla sostanza della sua provocazione. Certo, è complicato mettere in gioco inveterate abitudini e pigrizie, attrezzarsi anche tecnicamente per competere, senza subirlo, con il giornalismo iconologico e spettacolare della tv. Per rinnovare una professione ancorandosi ai suoi indiscutibili titoli di nobiltà. Ceronetti propone insofferenze, non ricette. La sua analisi, lo stesso oltranzismo di uno scrittore animato da un supremo «disinteresse», non meritano tuttavia di essere sviliti con qualche battuta spiritosa, con la riproposta di affliggenti luoghi comuni. Appunto... Lorenzo Mondo do

Persone citate: Ceronetti, Lorenzo Mondo, Montanelli