UOMINI DIETRO I NUMERI

UOMINI DIETRO I NUMERI UOMINI DIETRO I NUMERI ANCORA non si può sapere chi abbia veramente ragione, nella guerra che la medicina conduce da molto tempo contro la malattia più impaurente del Novecento: il cancro. Non sappiamo se la cura del dottor Di Bella rappresenti una novità autentica, ma neppure sappiamo se i primari di oncologia abbiano dati sicuri su cui fondarsi, quando lanciano il loro perentorio appello ai malati, e ingiungono di non abbandonare le chemioterapie così felicemente cominciate. Sappiamo solo che c'è guerra, tra vari generali che guidano l'offensiva contro il morbo. Che si è insinuato finalmente il dubbio: sulle strategie ufficiali di battaglia, sul senso ultimo del combattimento, sul mestiere stesso di medico. Sappiamo finalmente che il malato non è un numero, da inserire in qualche statistica: è una persona completa, che profitta dell'occasione per prendere la parola, per esprimere le sue emozioni, per dire alfine la sua personale guerra contro il morbo, i suoi personali tempi di dolore, di timore, di preparazione alla morte. Il malato di cancro è come il soldato semplice, utilizzato in guerre sanguinosamente totali di cui non intravede il fine profondo, né la fine. E' come il disoccupato degli Anni Novanta, che non crede più nelle promesse risolutive fatte oggi dai politici d'Europa. Non fosse che per questo risultato, la controversia su Di Bella è benefica: rimette la Persona al centro dell'attenzione. Mostra che esistono uomini, dietro le cifre mediche come dietro i numeri della disoccupazione. Dà spazio alla verità poetica di Stefan George: «Già il vostro numero è bestemmia». Conferma che malati o disoccupati sanno forse più cose di quel che immaginano le filosofie dei generai, dei primari, degli economisti. Sanno che non esiste per il momento una vittoria finale e garantita contro il cancro, come non c'è trionfo sull'Aids. Sanno che non esiste il pieno impiego, che le autorità promettono per il giorno in cui tornerà questo o quel tasso di crescita. La battaglia dei malati di cancro e dei disoccupati è filosofica, prima ancora che medica, economica. Gli uni e gli altri chiedono rimedi provvisori, spesso addirittura palliativi, che permettano di convivere con la malattia o le difficoltà sapendo di non poterle estirpare subito, compiutamente. Si ribellano come si può ribellare il soldato semplice, quando diventa carne da macello o quando generali-oncologi gli intimano di tornare nelle incoraggianti trincee della chemioterapia, di «non agire sull'onda dell'emotività». Malati e disoccupati perdono spesso coraggio in quelle non felici trincee, e non si fidano più delle terre promesse della piena occupazione, della piena salute. Non si fidano più delle filosofie ottimistiche che Marx, Hegel e Pasteur hanno regalato a questo nostro secolo con la pretesa di vaccinarlo una volta per tutte da mali e flagelli. I malati si fidano dell'unica cosa che possono irrefutabilmente provare, certificare: il dolore, inflitto non solo dal morbo ma dalle cure chemio o radioterapiche che pretendono di debellare la patologia attraverso accanimenti bellicosi sovente inumani. La sofferenza è la loro segreta maestra, più forte e veritiera delle sicurezze di primari, di esperti. La sofferenza distrugge le anime, rende specialmente difficile la preparazione alla morte, e di questo parlano indirettamente i malati, quando disertano la chemioterapia e corrono da Di Bella. Di questo vorrebbero parlare con i propri medici, questo silenzio indifferente dei terapeuti vorrebbero spezzare, sulle questioni centrali del dolore e della morte. Medici e autorità sanitarie si irrigidiscono, oppongono statistiche di guarigioni o di quel che chiamaBarbara Spinelli CONTINUA A PAG. 10 PRIMA COLONNA

Persone citate: Di Bella, Hegel, Marx, Pasteur, Stefan George

Luoghi citati: Europa