Angioini la mia pacifica battaglia d'Albania

Angioini la mia pacifica battaglia d'Albania Il Paese ha un governo regolarmente eletto, l'Italia ne riorganizza la burocrazia mentre tornano gli imprenditori Angioini la mia pacifica battaglia d'Albania // Commissario per gli aiuti: superata l'emergenza promuoviamo lo sviluppo IL GENERALE DELLA RICOSTRUZIONE GENERALE Franco Angioni, non c'è il sospetto che qualcuno abbia usato la disperazione di quelli che hanno attraversato l'Adriatico in gommone o su una carretta dei mari per fare pressioni sull'Italia? «Non si può escludere». Un anno fa l'Albania saltò in aria. Spunto, fu il crollo di alcune finanziarie, ma il male era assai più profondo. Nominato da Romano Prodi il 2 giugno, il generale che comandò il contingente italiano in Libano ha organizzato una struttura che dovrebbe consentire agli albanesi di «camminare con le proprie gambe e bloccare un esodo irifinito». Si dice sia meglio insegnare a pescare che dare il pesce... «E noi tentiamo di dare la canna da pesca agli albanesi perché non attuino il principio che se i soldi non vanno alla gente, la gente va ai soldi. Cerchiamo di fornire servizi che consentano una trasformazione strutturale dell'organizzazione albanese. U Commissario straordinario manda funzionari, strutture, è d'accordo con imprenditori italiani perché ridiano vita ad alcune aziende o ne impiantino di nuove, sollecita i dicasteri a fare i corsi di formazione nel campo agricolo, in quelli dell'artigianato e del commercio, collabora col ministero della Pubblica Istruzione. Ci vuole tempo. Ma il Commissario straordinario non ha dato soldi al governo albanese, per il momento. Li avessimo dati, avremmo dovuto ridarli a breve scadenza». A che punto è il suo lavoro? «In una fase particolarmente operativa. Dal giugno '97 al 31 dicembre '97 abbiamo fatto tutte le operazioni di emergenza: consentire il voto, trasportare il personale che doveva essere ricoverato in Italia, contribuire al risanamento ambientale di 14 città albanesi in condizioni molto gravi utilizzando le aziende autonome di 14 città italiane per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi; riorganizzare tre penitenziari fornendo materiali, uniformi, attrezzature, macchine. E stampare libri di testo per consentire la riapertura dell'anno scolastico. Per questi interventi hanno pagato i singoli dicasteri italiani, quindi è vero che erano risorse italiane». A quanto ammontano queste risorse? (A 60 miliardi, per il Commissario straordinario, approvati dopo le vicissitudini della Finanziaria, così i progetti di maggiore spessore e costo, preparati nel '97 per essere attuati nel '98, hanno la copertura». Qual è la difficoltà maggiore che avete incontrato? «Sul versante italiano la necessità di dare ordine a questa gran voglia di fare a favore dell'Albania da parte di organizzazioni dello Stato e private non governative, associazioni religiose. Spesso il risultato non era soddisfacente perché si disperdeva in mille rivoli: con la buona volontà di tutti si è messo ordine. Oggi c'è un comitato di coordinamento con i rappresentanti di tutti i dicasteri interessati in Albania, sono 14, quindi l'attività è piuttosto a grande latitudine. Sul versante albanese le difficoltà sono state notevoli e continuano a esserci, ma è comprensibile perché date le grandi esigenze del Paese gli albanesi chiedevano tutto a tutti; eppoi, non esisteva sino a oltre metà luglio un governo, cioè una controparte istituzionale a cui rivolgersi: e questa fase non è completata». E la più urgente? «Le elezioni. Erano il giro di boa che faceva uscire l'Albania da una situazione di grave emergenza, di disordine completo, insostenibile, con gli elicotteri italiani che da Valona, da Durazzo e da Tirana evacuavano il personale civile che era a rischio di incolumità fisica e le navi italiane al largo della costa avevano ospitato la delegazione dell'Ocse. Bene il 29 giugno c'è stato il voto». Regolare? «Corretto, secondo l'accertamento dell'Unione europea e dell'Ocse e i risultati sono stati accettati. Se si considera che sono passati due mesi da una situazione di gravissina crisi a una situazione di consultazione elettorale, per quanto possibile democratica, si può essere soddisfatti». Com'è la risposta degli albanesi agli sforzi dell'Italia? «Duplice. Da una parte c'è il rapporto umano, molto buono, dall' altra quello tecnico, in fase di riorganizzazione: e allora la risposta alcune volte è valida a livello mdividuale, cioè il ministro di quel settore risponde, concorda, ma poi nella struttura organizzativa sorgono difficoltà». Lei è un militare, quindi educato ad affrontare il nemico: chi è il nemico stavolta? «La disorganizzazione». Prima il Libano eppoi l'Albania, per lei. Quali le differenze, se ci sono, e quali i punti di contatto? «In Libano avevo la tuta di combattimento e stavo sul campo, qui ho il doppiopetto e sto dietro una scrivania. Eppoi, in Libano c'era l'emergenza assoluta, in Albania invece si cura un corpo che sì ha avuto una malattia, ma si sta riabilitando molto rapidamente. Infine, in Albania c'è la necessità di consentire alla gente di vivere meglio, in Libano bisognava riuscire a farla sopravvive¬ re». Le aziende italiane sono tornate? «Gli imprenditori sono alia ricerca di un accordo con i governi italiano e albanese, per mi fondo di garanzia che li premunisca da rischi troppo grossi. Ma la macchina si sta mettendo in moto». Che cosa funziona, secondo lei, a Tirana? «Il governo. C'è determinazione a voler far riprendere le attività del Paese, in maniera graduale torna la convivenza pacifica: nel Sud ancora non è come nel Centro e nel Nord Ovest però ci auguriamo non debba essere interrotta la strada intrapresa». Il rischio maggiore? «Che succeda qualcosa che blocchi questo processo democratico che il governo albanese sta attuando: un capovolgimento, un golpe, anche una carestia, qualcosa di non pianificabile». Vincenzo Tessendoli Il generale Franco Angioni già comandante in Libano coordina ora l'assistenza all'Albania

Persone citate: Franco Angioni, Romano Prodi, Vincenzo Tessendoli