MAFIA PIÙ' FORTE DELLA POLITICA di Francesco La Licata
MAFIA PIÙ' FORTE DELLA POLITICA MAFIA PIÙ' FORTE DELLA POLITICA tra singoli politici e la mafia. I mafiosi «apparivano» accanto ai candidati, così promuovendoli agli occhi degli elettori. In cambio ottenevano aiuto ed assistenza, soprattutto nelle aule di giustizia. In quesfa pantomima rimanevano separati i ruoli dei due attori, quasi sempre veniva garantita - almeno nelle apparenze - il rispetto della supremazia della politica. Quella era la mafia che perseguiva il mito dell'accumulazione della ricchezza, operazione che veniva resa possibile anche soltanto dal metodo dell'intimidazione e dalla quasi certezza dell'impunità. Era una mafia arcaica e la politica riusciva in qualche modo a dominare le dialettiche interne. Lo scenario descritto dalle recenti inchieste stravolge ogni regola, offrendo qualcosa di terrificante e diverso. Il lanciamissili nelle mani di Cosa nostra, le merendine avvelenate, la minaccia di abbattere la torre di Pisa, le stragi, il tentativo di un «patteggiamento diretto» con lo Stato, la pretesa di Totò Rihia di «punire» i politici che non erano riusciti a garantirgli l'impunità e la conseguente decisione di presentare il «papello», cioè il conto, sono sintomi allarmanti. Ma molto più preoccupante è la certezza dell'esistenza di un «Sistema» mafioso più forte della politica, capace di avere relazioni con le istituzioni e - fatto assolutamente inedito in queste dimensioni - perfettamente in grado di condizionare il «libero mercato» ed una congnia fetta di economia ed imprenditoria nazionale. Perché è questo che vien fuori dall'accertamento incrociato delle esperienze dei giudici di Milano e delle procure siciliane. Esiste qualcosa - a Palermo i magistrati l'hanno chiamato «Sistema criminale» - che per anni, più della piaga della corruzione, ha contaminato il tessuto politico, economico ed istituzionale. Riina percepiva, anche da grandi imprese del Nord, mia tangente «a titolo personale» dello 0,8% su «tutti» i lavori pubblici finanziati in Sicilia. Gli uomini, gli imprenditori che «regolavano» il sistema spartitorio (il pentito Angelo Siino concretamente lo sintetizza col termine «tavolino»), rispondevano più a Cosa nostra che ai politici e ai partiti. Per difendere questo «Sistema», la mafia non ha esitato a far saltare autostrade, uccidere, massacrare. Per coprire l'inconfessabile abbraccio - su questo scenario lavorano i magistrati - apparati dello Stato hanno «trattato» coi criminali. Perché può essere accaduta una cosa simile? E' possibile, certo, che anche in passato sia esistito un rapporto del genere e che oggi sembri diverso solo perché è aumentata la potenzialità conoscitiva delle investigazioni. Un mutamento, però, c'è stato e riguarda la metamorfosi di Cosa nostra, passata dall'accumulazione passiva alla politica degli investimenti che, ovviamente, richiede relazioni e agganci molto meno primordiali di quelli in voga ai tempi del latifondo. Basti pensare alla sconcertante jomt venture tra la «Calcestruzzi» di Gardini e le cave dei Buscemi, mafiosi di Boccadifalco. Se è così bisognerà stare in guardia. Gli analisti disegnano per il futuro una mafia militare ripiegata sul territorio e una Cosa nostra saldamente inserita nel circuito finanziario intemazionale, dove - si sa - i soldi perdono l'odore. Francesco La Licata
Persone citate: Angelo Siino, Gardini, Riina, Totò Rihia
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