Radio radicale resta accesa

Radio radicale resta accesa L'ha deciso ieri il Consiglio dei ministri. Pannella soddisfatto: un raro spazio di libertà Radio radicale resta accesa UN'EMITTENTE IN TRINCEA ROMA ADIO Radicale: anche per oggi non si chiude. Di proroga in proroga, di ripiego in ripiego, pure stavolta si conferma dura la pellaccia di questa emitten'e abituata a vivere, ormai, stando sempre per morire. La notizia della rinnovata sopravvivenza è stata paradossalmente preceduta, nell'etere, dal solito requiem. Il colpo di grazia che ha portato al provvido rinvio della concessione l'ha dato un appello di diversi senatori a vita, alcuni dei quali più e più volte maltrattati dai radicali. «Di Cossiga ho chiesto la messa hi stato d'accusa proprio da Radio Radicale - spiegava Pannella - Leone l'ho fatto dimettere io, Andreotti vabbè, si sa...». Fino all'ultimo minuto si temeva il peggio. <A parte la retorica - confidava sinceramente sconfortato il direttore della Radio, Massimo Bordin - qui è davvero come Davide contro Golia». La decisione di ieri, certo, non sistema tutto per sempre. La condizione, se si può dire, esistenziale dell'emittente sta tutta nella sua provvisorietà. Nutrendosi davvero, la leggenda precaria di Radio Radicale, di microfoni aperti su istinti ferini («Radio parolaccia» 1 e 2), donne delle pulizie che mandano in onda programmi, irruzioni in diretta della Digos, capodanni con Scalfaro (non ancora presidente) e spinelli, salvataggi di giudici rapiti, questue perfino commoventi, ambigui riconoscimenti (organo radiofonico di partito d'interesse pubblico), convenzioni con la Regione Lazio e con il Comune di Catania... E adesso spetta naturalmente a Pannella, detto dai redattori «l'Ascoltatore Unico» perché sempre sintonizzato, il primo sospiro di sollievo per la sorte di Radio Radicale. Il secondo l'ha emesso l'amministratore, Paolo Vigevano, che nel mezzo della campagna, tra raccolta di firme, debiti, crediti, discussioni, denunce, fax, posaceneri strapieni e lattine di Coca Cola vuote a un certo punto ha avuto una specie di coccolone ed è finito in clinica. Ieri appariva leggermente più disteso, seppure in costante debito con l'adrenalina. Senza la quale, come documenta uno spassoso carteggio tra il burocratico e l'alienante, è difficile che sarebbe riuscito a combattere la guerra di logoramento con i culi di pietra della Rai che a un certo punto s'erano messi in testa di comprarsela, Radio Radicale. Venticinque miliardi, avevano offerto per una struttura con un bacino d'utenza di circa 800 mila ascoltatori, due milioni e mezzo di contatti alla settimana, 18 mila ore di trasmissioni l'anno. E non volevano trattare con Pannella - Iseppi riservandosi di dare l'annuncio con lui, ma solo a cose fatte. Vigevano aveva risposto tirandola per le lunghe. Solo l'archivio - effettivamente ricchissimo, chea 200 mila ore, vent'anni di politica e di processi, 180 mila cassette in via di digitalizzazione - era stato stimato da dirigenti della Sovrintendenza per «alcune decine di miliardi». A cui occorre aggiungere 181 impianti che coprono il 60% del territorio italiano e il 75% della popolazione. Ma anche gli impianti, i trasmettitori collegati dal satellite, come del resto l'archivio e gli studi di produzione, e la sede di via Principe Amedeo, e la seguitissima rassegna stampa del mattino, e la storia stessa dell'emittente, e tutto, insomma, erano costati rnihardi (260 nel ventennio), lacrime e sangue. Chiedere conferma al direttore editoriale Paolo Chiarelli, entrato nel 1979 come tecnico della messa in onda e poi via via costretto dalle circostanze a occuparsi di postazioni, ponti, tralicci, manutentori, avarie, sposta¬ menti, potenziamenti e interferenze, queste ultime con le dovute e debite cause giudiziarie (calcolate «tra due e trecento in corso»). «Ti svegliavi la mattina - racconta - e scoprivi che qualcuno ti aveva occupato le frequenze». Pure con la Radio Vaticana, pare, una volta sono sorti problemi. «Radio Radicale - sosteneva Chiarelli - resta una catena preziosa di strumenti e persone». Ma a differenza degli strumenti, che non hanno anima, né famiglia, né legittime ambizioni da soddisfare, le persone alla lunga vivono e lavorano male nell'incertezza. Pur godendo di una stima pressoché generale, i 14 giornalisti di Radio Radicale (stipendio 2 milioni al mese, straordinari compresi) non sono contrattualmente riconosciuti come tali, nel senso che sono inquadrati nei ranghi professionali della Fert (Radiotelevisioni private), e secondo una formulla impiegatizia. Da tempo latente, il disagio per questa loro condizione è riesploso nei giorni difficili, con accuse e controaccuse a tratti viscerali - com'è costume nel mondo radicale. Certo ieri, appena saputo dell'anno in più garantito, il leader sindacale interno, Emilio Targia, si chiedeva se era un bene o un male per le loro speranze, per i loro diritti. E comunque: (Abbiamo paura di finire schiacciati tra le rigidità. Radio Radicale resta una splendida anomalia. Ma poi?». E' una domanda che veramente si fanno tutti, compresi gli ascoltatori più fedeli, quelli che ancora ricordano le prime rassegne stampa di Maria Adele Teodori, Gianluigi Melega, Marco Taradash, Carlo Romeo, Gabriele Paci; o i duetti di Lino Jannuzzi e Paolo Liguori, le nonstop con Enzo Tortora, i fili diretti con Maria Teresa Di Lascia o le telefonate dei veri pazzi, alcuni anche afìcionados, che talvolta ihuminano l'abituale pazzia della politica. Perché Radio Radicale, a pensarci bene, non è solo - non lo è nemmeno quantitativamente - Radio-Parlamento. Per certi versi è proprio la messa in onda senza limiti e senza filtri delle sedute, dei congressi, delle manifestazioni di tutti i partiti, oppure di tanti processi, a rendere più autorevole e spesso prezioso il resto. A fare della radio qualcosa di insostituibile. Difficile pensare: non esiste più, l'hanno venduta. Invano, nei mesi scorsi, Vigevano ha dato incarico a una banca d'affari, la viennese M&A Bank, di vedere se c'era qualcuno, all'estero, interessato a questo modello di comunicazione che parla, ascolta e si muove in un luogo che Pannella, con fantastica risorsa concettuale, ha ribattezzato «mercato istituzionale». Il miliardario perfetto non s'è trovato. S'è trovata invece, e dopo molti sforzi, la possibilità di continuare a fare «servizio pubblico». Solo per un anno, certo. Ma intanto: anche per oggi non si muore. Filippo Ceccarelli Fino all'ultimo minuto si è temuto il peggio Ma la scelta del rinvio non risolve i problemi Venti anni di politica in 180 mila cassette Eppure i 14 redattori non hanno contratto 1|11ÌÌIIIÌ1 Qui accanto Marco Pannella leader referendario e punto di riferimento per Radio Radicale Nella foto a centro pagina un'immagine dell'emittente

Luoghi citati: Comune Di Catania, Regione Lazio, Roma, Vigevano