I telefoni intasati dal dolore

I telefoni intasati dal dolore I telefoni intasati dal dolore Milano, in 500 ogni giorno chiedono la cura TRA I MALATI OSTAGGI DELLA SPERANZA VMILANO AGLIELO a dire che la somatostatina non la danno ancora, che la sperimentazione non è nemmeno iniziata e quando lo sarà non è detto che tocchi a tutti. Vaglielo a dire ai 500 che ogni giorno telefonano, ai trenta che bussano a questa porta a vetri al primo piano dell'Istituto dei tumori di via Veneziani che - per adesso - si può solo aspettare. Telefonano dalla Sicilia, da Nuoro, dalla Croazia, da Genova, Milano, Aosta ma nessuno dalla Puglia, dove il «diritto» alla terapia è stato sancito in un' aula di tribunale. Telefonano qui, come al Sacco e a Niguarda, gli altri due ospedali milanesi che saranno chiamati alla sperimentazione, per chiedere sempre la stessa cosa che assomiglia tanto alla speranza di chi, oramai, non ha più nulla da perdere. Come Giuseppina S., che arriva da Cremona perché sua mamma sta male, non ce la fa più e adesso è forse solo questione di mesi. «Del professor Di Bella so solo quello che si legge sui giornali e si vede alla tivù. Non so se sia efficace, ma vai la pena di tentare», dice, come dicono tutti quando la speranza è ridotta a un lumicino e «si sono tentate tutte le strade e allora tentiamo anche questa». Della somatostatina non sanno nulla, ma la vogliono. Implorano, blandiscono, sono disposti a pagare e magari a urlare, pur di finire nell'elenco, che diligentemente stendono i sanitari dell'Istituto dei tumori e non si sa nemmeno a cosa serva. «Non dà diritto alla somministrazione, non è detto che tutti saranno sottoposti alla terapia, non sappiamo nemmeno quanti e chi potranno esserlo», scuote la testa Laura Tessandri, medico in via Veneziani, che da lunedì mattina ripete le stesse frasi, migliaia di volte, tante quante sono le richieste che adesso iniziano ad arrivare pure via fax in questo ufficetto con due telefoni, altrettanti scrivanie bianche e le poltroncine azzurre. Arrivano, aspettano il turno davanti alla porta a vetri e poi chiedono. Sono figli, generi, suoceri, padri degli ammalati di tumore. Molti sono in cura qui, altri sono già arrivati alla chemioterapia. Qualcuno, per telefono, non si dà per vinto: «E' per mio padre, lo hanno aperto e richiuso. Gli fanno solo la terapia del dolore. Può servire la somatostatina, la cura del professor Di Bella?». Domande senza risposte, oggi. «Speriamo che facciano presto, che in pochi mesi si sappia se per determinate forme tumorali in determinati soggetti, la terapia dia risultati», auspica la dottoressa Tessandri. Ma è oggi, che gli ammalati e i loro parenti vogliono risposte certe e la sicurezza di entrare nel numero dei «fortunati», che potranno fare da cavia alla formula del professore modenese che ha piegato i «signori» della medicina e convinto un ministro prevenuto a percorrere la strada della sperimentazione. «Sono stata al Sacco, adesso tento qui», confessa Enza F., che pur di salvare la suocera mette il nome nelle liste di due ospedali. «Volevo andare anche a Modena dal professore, ma mi hanno detto che è impossibile, che c'è la fila e non riceve più nessuno», giura lei pronta a percorrere il calvario fino in fondo, alla ricerca della soma- tostatina, il farmaco miracoloso sparito ovunque, anche in Germania dove gli italiani hanno fatto la fila pur di averne una fiala. «Perché sono qui? Perché l'ho visto in televisione. Perché quelli contrari sono di più, ma i malati curati dal professore hanno detto di sentirsi bene», conferma la signora Enza mentre conta i giorni che mancano a lunedì, quando sua suocera inizierà la chemioterapia al Po¬ liclinico e «io lo so che la chemio ha effetti debilitanti e allora perché non provare? O dobbiamo sempre aspettare che siano i medici, a decidere?». Adesso che i media ne hanno parlato, adesso che il professor Di Bella è diventato il Mito di fine millennio, c'è una valanga che si abbatte sugli ospedali, intasa i centralini, aspetta una parola, vissuta quasi come l'ultima speranza, l'ultimo tentativo di chi non crede più a nien- te e si aggrappa a quell'elenco infinito, nome, cognome, malattia e recapito, messo a disposizione dall'ospedale. Nella stanzetta al primo piano dell'Istituto dei tumori, i due telefoni continuano a squillare. «Non faccio nemmeno tempo ad abbassare la cornetta», spiega Teresa Desiderio, impiegata dell'ospedale, prima di rispondere all'ultima chiamata. Qualcuno bussa alla porta. E' un signore col cappel¬ lo, chiede subito: «E' per mia moglie, faccio ancora in tempo?». Anche per lui c'è la spiegazione di rito. Accompagnata dalla speranza della dottoressa Tessandri: «Quello che dice il professor Di Bella non lo prendo come oro colato, però vai la pena di sperimentarlo. Ma chi glielo dice, a chi rimarrà fuori dalla terapia?». Fabio Poletii «Lasciateci provare quella terapia Non sappiamo se sia efficace, l'abbiamo saputo dai giornali Vale la pena tentare» A fianco il professor Veronesi, direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia. A destra il fisiologo modenese Luigi Di Bella

Persone citate: Di Bella, Enza F., Fabio Poletii, Giuseppina S., Luigi Di Bella, Teresa Desiderio