A MONTMARTRE CON ALVARO di Corrado Alvaro

A MONTMARTRE CON ALVARO TACCUINI A MONTMARTRE CON ALVARO Lettere parigine del Ventennio RA il gennaio del 1922 e il settembre del 1925 Corrado Alvaro, non ancora trentenne, pubblica una serie di articoli (143, per l'esattezza) sul «Mondo», il quotidiano diretto da Giovanni Amendola. Articoli di varia natura: politici, di costume e di vita teatrale, viaggi, apologhi e brevi racconti che qua e là lieviteranno nelle opere successive. Lievitare è però verbo improprio. Più giusto, rifondere. E rifondendo in disegni amplificati temi e slanci di una prorompente fantasia meridionale avida di misurarsi con la cultura europea, non accade forse di dover rimpiangere l'immediatezza, l'arguzia, la libertà visionaria delle origini? Un interrogativo strisciante nell'ottimo saggio di Anne-Christine Faitrop-Porta che introduce Lettere parigine e altri scritti e che da solo varrebbe a suscitare curiosità e analogie per il passo brillante e, insieme, sicuro, consapevole, dello scrittore calabrese, se oggi la figura di Alvaro non accusasse ulteriori contrazioni negli scomparti novecenteschi. l l gIl rapporto col «Mondo» cade dunque in un periodo particolarissimo delle vicende italiane: si sta instaurando il regime fascista, il giornale di Amendola diventa la voce critica e autorevole dell'Unione nazionale delle forze democratiche. Alvaro si schiera senza tentennamenti con gli oppositori, subisce ingiurie e intimidazioni, sottoscrive la risposta di Benedetto Croce al Manifesto degli intellettuali fascisti; nel settembre del 1925 difende Adriano Tilgher aggredito dagli squadristi e viene a sua volta malmenato. E intanto Amendola («il primo uomo di cultura che buttava tutto nella lotta per una causa comune a tutti gli uomini, il primo uomo di cultura divenuto politico, considerando la cultura un'esperienza di fenomeni storici e umani che doveva soccorrere in' una lotta come quella» - si legge in Ultimo diario) viene colpito a morte, e l'anno precedente era toccato a Giacomo Matteotti. Per il quale il giovane collaboratore firma una «Cronaca» sommessa, angosciosa: «Dopo venti giorni non si è né rassegnati né stanchi. Si sfogliano libri, si cercano diversi argomenti, si cambia discorso. Ma il pensiero è sempre quello. Durante le piogge recenti parve che il cielo aiutasse il delitto lavando ogni traccia. Tutto, con la stagione, parve un'alleanza oscura, come se una congiura avesse penetrato ogni cosa. Non solo quella cenere fu sparsa al vento, ma tutte le ceneri di cinquant'anni che prepararono la nostra sorte». La curatrice non si lascia sfuggire l'occasione per tacitare quanti rimproverano allo scrittore scarso impegno antifascista. Un giudizio inquinato proprio dalla mancata lettura degli articoli apparsi sul quotidiano di Amendola. Tiepidezze e ambivalenze non sono infatti riscontrabili nell'attività intellettuale di Alvaro agli inizi del Ventennio. E tuttavia è ugualmente vero che anche nelle strette più dolorose Alvaro non sacrifica mai la «religione del mistero» alla tirannia degli avvenimenti esterni. Non meraviglia perciò se nelle pagine di cui disponiamo la riflessione divertita e la battuta sarcastica s'intrecciano alla passione civile, alla pungente analisi di ingiustizie sociali. La campionatura offerta dalla Faitrop-Porta permette appunto di verificare la doppia tonalità e ammirare quel brio di lingua e di immagini (si veda, ad esempio in «Psicologia» il peso morale registrato da una macchina), quel giocare a dadi nei territori della scienza e dell'oltretomba («Marziana», «Lunare», «Rapporto dell'Inferno»...) che invano cercheremmo nell'Alvaro dell'età matura. A sé stante, il gruppo delle corrispondenze parigine - dal 27 gennaio al 23 luglio del 1922 - reclama a buon diritto la priorità nel titolo della raccolta. Qui il lettore molla volentieri qualsivoglia distinguo e si lascia contagiare dall'effervescenza della guida. Sia che descriva una festa a Montmartre o la serata in casa di uno scrittore («uno chcr maitre, naturalmente»), sia che discuta di Molière mentre nella capitale si celebra il terzo centenario, o si soffermi su Mata-Hari («Era di intelligenza mediocre e di grande astuzia, capofila delle donne stufe di lavorare nei campi e nelle cucine»), o che si sforzi di familiarizzare con le bizzarrie della moda («Se negh altri Paesi le donne persistono a portare la veste fino al ginocchio non so, ma a Parigi questa primavera è sorta una moda contro cui non si può parlare di provocazione perché è più asensuale della pittura cubista»), sia che accolga un invito di Benjamin Crémieux e lo ascolti sul progetto di un circolo internazionale («A colazione ci sono andato ed è opportuno che ne riferisca. Per non sbagliare ho parlato il meno possibile, e quando ne sono stato costretto, ho detto bene di tutti: lo giuro... E non dico poi della critica, per non essere seppellito di recensioni quando stamperò il mio capolavoro»), Corrado Alvaro, recalcitrante figlio dell'Aspromonte, sembra voler bruciare a Parigi, in un'unica avventura e senza rimorsi, la sulfurea levità che qualche dio greco gli aveva propiziato. Giuseppe Cassieri Gli articoli apparsi sul «Mondo» di Giovcuvii Amendola: politici, di costume e dì vita teatrale, viaggi, LETTERE PARIGINE e altri scrìtti Corrado Alvaro Salerno pp. 235 L. 28.000 Sopra Mata-Hari A destra: Corrado Alvaro

Luoghi citati: Parigi, Salerno