L'INFELICITÀ E' BELLEZZA PER UN IRLANDESE D'AMERICA di Claudio Gorlier

L'INFELICITÀ E' BELLEZZA PER UN IRLANDESE D'AMERICA L'INFELICITÀ E' BELLEZZA PER UN IRLANDESE D'AMERICA McCourt: la drammatica autobiografia di un Pulitzer N americano di origine irlandese, dopo una durissima infanzia e adolescenza negli Stati Uniti e nella stessa Irlanda, si ritaglia una tranquilla ma sostanzialmente anonima carriera come insegnante di scrittura creativa a New York. Sessantacinquenne, egli decide di scrivere una autobiografia di quegli anni duramente formativi, in una chiave di vivace narratività, trova a pubblicarla e il libro ottiene un unanime successo critico, coronato da due dei più prestigiosi premi letterari americani, il Pulitzer e il National Critics Award, arrampicandosi ormai quasi stabilmente ai primi posti della lista dei best-seller. L'autore, lasciato l'insegnamento e ormai impegnato in frenetici giri di conferenze, si chiama Frank McCourt, è nato nel 1930 a New York, e il libro, che sta ottenendo notevole fortuna anche nella traduzione italiana, si intitola Le ceneri di Angela La madre del protagonista narratore, Angela, occupa giustamente una posizione cruciale e nel segno della sua presenza postuma ma singolarmente intensa, mai sopra le righe, il libro di McCourt procede, ma senza dubbio la figura dominante, nel bene e nel male, resta quella di Malachy, il padre. E' lui che, negli anni terribili della Depressione, decide con la famiglia di ritornare in Irlanda nell'illusoria speranza di uscire dalle sabbie mobili di una miseria degradante. Pure, Malachy va considerato sotto molti aspetti il responsabile primo della condizione disperata della famiglia. Bevitore incallito, spesso ubriaco, dilapida all'osteria i magri guadagni di un lavoro che fatalmente perde, e con irresponsabile cinismo lascia che moglie e figli manchino virtualmente di tutto, a cominciare dal necessario per nutrirsi. In compenso, rigido cattolico e fedele al verbo dell'indipendentismo repubblicano irlandese, è capace, tornando a casa alle ore piccole, a costringere i figli addormentati, e affamati, ad al¬ zarsi per cantare con lui fiere canzoni popolari di esaltazione delle virtù e delle glorie irlandesi. Se il ragazzo e poi l'adulto McCourt ritrae con partecipazione e con un amore discreto, senza mai cadute sentimentali, la madre, egli ci offre del padre un'immagine tanto risolutamente drammatica della sua crudele e insieme appassionata irresponsabilità quanto priva di rancore e, al contrario, pervasa di pietà, Si incontra qui, anche sul piano del linguaggio, una delle linee di forza di Le ceneri di Angela. Taluni episodi sono addirittura raggelanti. Una sorellina muore di stenti, e il medico, ormai impotente, porta via il cadavere per l'autopsia. Né la madre né i fratellini vedranno più la bimba, poiché il padre ne ha venduto il corpicino destinato a un'utilizzazione anatomica, letteral¬ mente bevendosi il magro compenso. A Limerick, in Irlanda, il padre sosterà al pub con un boccale di birra appoggiato sulla bianca bara di un'altra innocente vittima. Dunque, l'ala" dèlia morte sembra costituire una presenza ricorrente, ma non ossessiva, né per questo fatalisticamente accettata. Come ha scritto appropriatamente un recensore americano, il mondo del piccolo McCourt, rivissuto da adulto e affidato alla pagina, unisce rabbia e perdono, dramma e commedia, in un continuo, teso ma mai risentito paradosso. Tutti questi elementi fanno parte della coesistenza, tanto caratteristica dello spirito celtico trasfuso nella cultura e persino nella quotidianità irlandese, di tragico, di comico, di ironico, persino di allegramente liberatorio, anche nei momenti più amari. Dopo che nasce il settimo figlio e Angela dichiara che non dovranno essercene altri, Malachy la ammonisce, in quanto una donna cattolica deve assolvere ai suoi doveri nei confronti del marito, pena la dannazione eterna, e la donna replica che, se non vi saranno altri figli, l'idea della dannazione eterna le suonerà gradevole. Così, l'undicenne Frankie costretto a un pesante lavoro ad onta di una malattia agli occhi che rischia di fargli perdere la vista, riesce a scorgere quanto di eccitante e di avventuroso si trovi nel guidare un carro trainato da un cavallo per consegnare la birra; accanto, la frequentazione degli amici, i discorsi sui misteri della vita, a cominciare dal sesso, apre orizzonti quasi favolósi. E rimane tempo per celebrare in qualche modo le festività, di assaporare il senso dei rapporti comunitari. Appena il ragazzo Frankie ce la fa, si procura un biglietto per ritornare a New York, preparando la via anche per uno dei fratelli. L'arrivo viene preceduto da una breve sosta nel porto di una cittadina, dove si consuma una effimera ma sorprendente vicenda sessuale. Il giovane ha esitato prima di partire, e alla vigilia compie una sorta di pellegrinaggio tra realtà e memoria. Poi, la riscoperta dell'America, «Paese eccezionale», e il nuovo inizio. Prevedibilmente, a proposito di questo libro si è fatto il nome di Joyce, ma mi sembra ingiusto perché McCourt possiede una misura sua, e reinventa l'esercizio della memoria senza cadere nel repertorio. Qualcuno ha rammentato per Le ceneri di Angela una battuta dell'irlandese Beckett: «Nulla è più divertente dell'infelicità». A patto, si viene tentati di commentare, che venga riscattata dalla capacità di raccontarla. Lo ribadisce l'unica parola che forma il capitolo finale: «Eccome». Claudio Gorlier «Le ceneri di Angela»: storia di un terribile padre padrone tra alcol, patria e cattolicesimo e di ima indomita madre di sette figli LE CENERI DI ANGELA Frank McCourt Adelphi pp. 377 L 32.000

Persone citate: America Mccourt, Beckett, Frank Mccourt, Pulitzer

Luoghi citati: America, Irlanda, Limerick, New York, Stati Uniti