UN PICARO PER CAMPORESI
UN PICARO PER CAMPORESI RECENW UN PICARO PER CAMPORESI Fioravanti, medico del '500 IERO Camporesi, scomparso nel luglio 1997, è riuscito a licenziare le bozze, ma purtroppo non a vedere stampato questo che doveva restare il suo ultimo libro; e noi lo leggiamo con ammirazione e gratitudine anche come «stimma» di una formicolante «commedia» enciclopedica, che negli anni s'era fatta imponente. Al pari di Leonardo Fioentesco medico «di nazion bolognese» di cui ci ricostrui ravanti, il cinquecentesco medico «di nazion bolognese» di cui ci ricostruisce vita e avventure, anche Camporesi ha mfaticabilmente «camminato il mondo» dell'evo moderno, ha dissepolto le tracce disperse delle culture materiau', il continente sommerso della quotidianità - il pane, il latte, il sangue, gli usi di vita e di morte - in cui si incrociano antichi saperi, nuove tecniche, credenze, miti, sogni, tormenti. Ha risuscitato odori e sapori, abitudini e mentalità. Con simpatia ruzantiana, ha ridato voce alle comparse senza nome e senza volto che sono sempre restate fuori dalle storie ufficiali, contadini, vagabondi, ciarlatani. Le note di questa pietas antropologica insieme divertita e partecipe si ritrovano potenziate nei capitoli della vita picaresca del Fioravanti, quasi un Tom Jones medico-chirurgico-farmaceutico. All'aprirsi di scena, troviamo il bolognese che sbarca trentenne a Palermo nel 1548 lasciandosi inebriare da tanti sentori arabo-mediterranei. Era probabilmente un ex barbiere sprovvisto di laurea, si direbbe oggi. Per sua fortuna, perché invece di adagiarsi nelle ripetizioni di sacri testi impotenti contro mah vecchi e nuovi, è costretto ad inventarsi terapie efficaci. Ha con sé quel che serve: la curiosità, la modestia, la voglia di imparare, la spregiudicatezza, la consapevolezza che l'esperienza è tutto. Tiene ben aperti occhi e orecclù, impara, confronta, sperimenta. Genio dell'empirismo, ascolta volentieri i vecchi, «perciò che essi sogliono sapere molte delle cose passate», ma anche «villani, pastori, soldati, religiosi», comari, vecchierelle. Della tradizione popolare non butta via nulla a priori. Come il sublime Paracelso, esorta a bruciare i libri, comperare buone scarpe, e andare per il mondo. Ma mentre lo svizzero andava un po' troppo sul filosofico, lui si atteneva saggiamente a procedure basse e terrestri, ma efficaci. «Purgazioni» e «restaurazioni», vita regolare, poco cibo, niente eccessi: «guardarsi da disordinare». Ma niente diete dure, che portano a una «vita tenue». Il malato andava tenuto su con cibi ottimi e vini generosi («condimento dell'uomo»), che ne sostenessero il morale, che lui curava anche presentandosi sempre carico di allegro ottimismo. Ma soprattutto Fioravanti capisce che deve riurùre in sé le doti del medico, del farmacista e del «cirurgo» (i dottori togati, sedentari senza esperienza, spregiavano la dura arte della chirurgia, lasciandola ai barbieri e ai norcini). A furia di aprire morti ammazzati e di osservare i carnefici, bravissimi a tormentare le vittime continuando a tenerle in vita, si procura cospicue conoscenze anatomiche e perfeziona la propria manualità; spiando colleghi più esperti, si specializza in ferite da taglio e d'arma da fuoco, pratica tecniche di rinoplastica di sbalorditiva modernità. Ottimo conoscitore di erbe, minerali e animali, è un abile aromatario ed alchimista, distilla quintessenze por¬ tentose, elisir disinfettanti, «magni licor». Artifex polytechnes nel migliore spirito rinascimentale, opera milze spappolate, cura la gotta e il mal francese dei potenti; nominato protomedico della flotta spagnola di Carlo V, guarisce un intero esercito dalla dissenteria con i bagni di mare. Né si ferma alla medicina: si offre anche come risanatore di città malariche (Pola) o terremotate (Ferrara), e a Cosimo I propone (invano) un progetto di nave inaffondabile e un «fuoco artificiato» di una potenza che «spaventerebbe Satanasso». Lo chiamano angelo, santo, mago, profeta, taumaturgo. Lui accetta benevolmente uova, provole, caciotte di pazienti riconoscenti. Tutte queste capacità si sarebbero perdute se l'intraprendente bolognese non avesse colto a volo un'altra opportunità che gli offrivano i tempi, la nuovissima arte della stampa. Gran cacciatore di storie e vero talento narrativo, sbarcato nel 1561 a Venezia, capitale dell'editoria, diventa ottimo divulgatore di se stesso. Pubblica con successo (anche di traduzioni) otto libri autobiografici destinati non agli accademici, ma a quel pubblico medio-colto che è poi la sua clientela naturale, presso la quale si autopromuove con bonaria scaltrezza. Fioravanti, che ha sempre rifiutato di metter su famiglia, si muove senza requie da Palermo a Napoli, da Venezia a Roma e a Milano, dalle flotte imperiali alla Spagna e al Portogallo, ovunque ci sia da cogliere un'opportunità e un'esperienza da fare. In quel suo nomadismo frenetico, in quella sua ansia di riconoscimento, c'è la probabile ferita di umiliazioni giovanili mai superate. Solo negli ultimi anni questo inventore infaticabile (e con lui Camporesi, che lo ha seguito con una adesione quasi autobiografica) è sopraffatto dall'amarezza della disillusione: «en este mundo trabajoso», scrive nel suo spagnolo maccheronico, dominano l'invidia, l'inganno, la menzogna. La sua penna era stanca, la memoria si offuscava, le mani operose non gli ubbidivano più. Forse la sola verità di questo mondo è quella signora che «entra per tutto dove vuole senza chiamare, né battere alla porta... amazza ciascuno che gli piace senza avisarlo». Ernesto Ferrerò CAMMINARE IL MONDO Piero Camporesi Gorzonti pp. 310 L. 55.000 Esce postumo «Camminare il mondo», l'ultimo saggio di Piero Camporesi dedicato a Leonardo Fioravanti, medico bolognese del Cinquecento
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