QUELL'ITALIA AL BIVIO DEL '48 di Aldo Rizzo

QUELL'ITALIA AL BIVIO DEL '48 QUELL'ITALIA AL BIVIO DEL '48 Un come eravamo (e siamo?) L'ITALIA DEL 1948 Marco Innocenti Mursia pp.210 L.25.000 INQUANT'AJMNI fa, in Italia. «Quando De Gasperi battè Togliatti». Dunque il 1948 come spartiacque politico della nostra storia dopo la seconda guerra mondiale, con l'ormai leggendario scontro elettorale del 18 aprile e la vittoria, appunto, di Alcide De Gasperi, cioè della de e dei suoi alleati cioè della de e dei suoi alleati «laici», su Palmiro Togliatti, leader del Fronte popolare con i socialisti di Pietro Nenni. Fondamentalmente, democristiani contro comunisti, e sullo sfondo la drammatica divisione dell'Europa postbellica tra la sua parte occidentale, legata alla democrazia e all'economia dell'America, e la parte centro-orientale, coattivamente fedele all'ideologia e agli interessi dell'Unione Sovietica. Ma il 1948 anche come «stagione di un'Italia arcaica che lavora nei campi e di un'Italia operaia che merita qualcosa di più», tra «la coda di un'inflazione feroce che ha distrutto patrimoni e risparmi» e «una smania tumultuosa di crescita, di appropriazione ingorda e rapida di ogni forma di modernità tecnologica». Con «tanta povera gente ma anche tanta voglia di cambiamento, di proiettarsi nel futuro». E insomma gli italiani «come gli spettatori che, in una pagina di Proust, premono stupiti ai vetri di un ristorante elegante per vedere cosa succede dentro e immaginano di infrangere i vetri e di entrare». E' in questo 1948, che oggi definiremmo nazionalpopolare, più che in quello strettamente politico, che Marco Innocenti s'immerge e fa immergere i lettori, agendo come «un inviato speciale nel tempo c nella memoria» (così come aveva fatto, in altri libri, per altri anni fatidici della nostra storia, come il 1940, il 1943, il 1945). Non che le vicende politiche non siano raccontate col dovuto rilievo, vedi appunto le elezioni del 18 aprile e l'attentato a Togliatti, e anche gli altri passaggi essenziali di quell'anno primo della Costituzione repubblicana. Ma il tema principale dell'inchiesta, del viaggio, è l'Italia «degli uomini più importanti delle idee», l'Italia «di tutti i santi giorni», la cui vita, certo, è condizionata dal quadro politico, ma si esprime anche e soprattutto con una sua forza autonoma, col carattere contraddittorio e però in definitiva creativo di un popolo che sa di essere arrivato a un bivio decisivo, tra un passato segnato dalle distruzioni della guerra e un futuro di modernità, se non di giustizia. Cinquant'anni fa. Un inverno inclemente, in cui le case, mal riscaldate, «sono un rifugio precario». La grande povertà dei contadini del Sud, ma anche degli operai del Nord, solo un po' più fortuna¬ ti. Ancora il mercato nero e i «pacchi alimentari» del comune o del partito o della parrocchia. Di contro, i nuovi ricchi, gli speculatori più o meno legali del dopoguerra. Tutti in un'economia che cerca un decollo vero e intanto soffre la stretta creditizia con cui Luigi Einaudi debella l'inflazione. Gli aiuti americani. Poi la primavera elettorale e un'estate afosa, in cui si teme, dopo l'attentato a Togliatti, una rivoluzione che non ci sarà. Ci saranno invece i primi timidi segnali di un'accettabile normalità quotidiana. In attesa del «miracolo economico» degli Anni Cinquanta, che, pur con i suoi costi e le sue contraddizioni, aprirà finalmente l'attesa finestra sul benessere. Innocenti racconta tutto questo, in un reportage molto bello e persino struggente, e altro ancora. Le passioni sportive di cinquant'anni fa (Bartali e Coppi, le radiocronache calcistiche di Carosio), i divi americani (Bob Taylor e Tyrone Power, Rita Hayworth e Ava Gardner), i primi rotocalchi, i grandi casi di cronaca (il delitto Bellentani e l'affare Brusadelli), i romanzi e le canzoni. E la Vespa e la Lambretta a rate, la prima motorizzazione di massa, «un sogno di libertà a 60 km all'ora». Una rassegna davvero minuziosa, una miniera di dettagli su ogni aspetto della vita quotidiana, che tuttavia non perde mai il filo di un esame sociologico. Alla fine, il giornalistascrittore ha come un po' di rimpianto per quell'Italia ormai lontana. Che però gli sembra rifletta un'Italia per certi aspetti immutabile «perché è dentro di noi». Aldo Rizzo Alcide De Gasperi (al centro) e Umberto Terracini (a sinistra)