CARROLL CONTESO TRA WALT DISNEY E DELEUZE di Stefano Bartezzaghi
CARROLL CONTESO TRA WALT DISNEY E DELEUZE Parliamone CARROLL CONTESO TRA WALT DISNEY E DELEUZE OGGI, 15 gennaio 1998, non è il centenario della morte di Lewis Carroll (l'autore di Alice nel Pae se delle meraviglie, al secolo reverendo Charles Lutwidge Dodgson). La ricorrenza cadeva ieri, ma alla fine questo sfasamento involontario sarà esso stesso un omaggio a chi, nella sua coerente bizzarria, ha istituito le feste di non-compleanno. Un non-anniversario, allora: perché il tempo era per Carroll un giocattolo straordinario; ma anche perché l'evento che ricorre è un non-evento. Del tutto morto, infatti, Carroll non lo è mai stato: il suo spirito (fantasma e humour) ha continuato a circolare per tutto questo secolo, e a sorridere (magari senz'altre sembianze che il sorriso) a ogni interlocutore: dalle ricezioni più bambocce a quelle post-strutturaliste e post-lacaniane. Joyce, Orwell, Queneau, Nabokov, Manganelli, Calvino, Hofstadter... Il catalogo lo ha fatto ieri, Marco Belpoliti, sul Manifesto e a questi nomi e agli altri ne aggiungeremo due: quello di Walt Disney e lo stesso nome «Alice», divenuto un'opzione gradita per molti genitori del Novecento, specie in corrispondenza del cartone animato nel 1951 e dopo il movimento del 77. Ma quando un autore è conteso da Walt Disney e Gilles Deleuze è lecito il dubbio che continui a trattarsi di un «classico per l'infanzia». L'infanzia non è più quella di un tempo e per ovvie ragioni anche geopolitiche in Italia non c'è mai stata un'infanzia degna di Carroll: ci vogliono secoli e secoli di istituzioni civili, cerimoniali, scolastiche, linguistiche, familiari per plasmare il piccolo degustatore (la piccola degustatrice, anzi) di marmellate e parodie a cui Carroll si rivolgeva. Se è debole la dóxa, non attecchirà il paràdoxon. Fuori dall'età vittoriana, il classico «per l'infanzia» si tramuta in un classico «dell'infanzia», e di un'infanzia immoderata e imperialista che tende a diventare età mentale permanente. Se non fosse ingiurioso per lui (e anche per noi) parleremmo di un classico dell'infantilismo e proveremmo a rileggere Carroll come l'autore che suggerisce alla logica di fare i capricci, con i suoi ricorsi implacabili al nonsenso, all'eccentricità, al rovesciamento, all'enigma e all'equivoco. Il capriccio e il gioco, però, non sarebbero bastati, se Carroll non avesse trovato il modo giusto di trattare i lettori. Chi entra nel Paese in cui ci si meraviglia (e ci si interroga) incontra a ogni passo qualcuno che stupisce, strapazza, blandisce, indigna o frastorna Alice; ma anche qualcosa che stupisce, strapazza, blandisce, indigna o frastorna il lettore stesso. Il lettore è con Alice ed è con Humpty-Dumpty, vuole essere meravigliato e vuole scoprire il trucco, vuole battere Carroll e vuole esserne battuto. Il lettore come solutore di nodi e spettatore di una prestidigitazione, logico e ingenuo. Questa invenzione forse è la più gemale, la meno celebrata ma anche la meglio tramandata fra le tante di Lewis Carroll. Stefano Bartezzaghi
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