Nelle imprese del miracolo la secessione ora fa paura di Cesare Martinetti

Nelle imprese del miracolo la secessione ora fa paura Nelle imprese del miracolo la secessione ora fa paura REPORTAGE IL MALESSERE DEL NORD-EST UBELLUNO N «bollore», dice Luigi Arsellini, presidente degli industriali veneti. I figli tradiscono i padri e si organizzano corsi per aiutare il «passaggio del testimone» nelle aziende. L'Irap, la nuova tassa del governo deb'Ulivo, incombe come una minaccia sul sistema. Sulla germinazione tumultuosa di imprese sono precipitati i contraccolpi non di una crisi, ma di una flessione dopo il boom del '95. Arriva l'Europa, ma per ora l'unico effetto che brucia suba pelle è quello del fisco: «I conti per Maastricht tornano grazie solo alle tasse che abbiamo pagato». Si sa che gli industriali piangono sempre miseria e vorrebbero sempre di più. Ma qui nel profondo Nordest, su per la provincia di Belluno dove Arsellini ci riceve neba sua azienda di ceramiche (nata con i contributi del Vajont, 27 dipendenti allora, più di mille adesso), si misura il composito malessere del Nordest e si capisce che in quel vento di Lega e di secessione, cui corre dietro anche il neo partito «catalano» di Cacciari e Carrara, c'è soprattutto paura. «Molti - ci dice Arsellini - in questi anni hanno fatto il passo più lungo della gamba». Il 70 per cento delle imprese ha meno di 50 dipendenti; il 90 ne ha meno di cento. Molte sono famighari, sottocapitalizzate, e cioè con un capitale composto solo dai soldi di famiglia, con una debolezza finanziaria quasi costituzionale. Sono nate e cresciute in pochi anni, i fondatori hanno conosciuto la vecchia fame del Veneto e godono di un benessere «insperato». In questo brodo di insicurezza stanno precipitando due fenomeni. Uno è l'Irap, la nuova tassa; l'altro è la difficile successione, il passaggio di generazione. Arsellini dice che l'Irap è una «tassa contro il Nordest perché penalizza le imprese piccole e aiuta quehe grandi: si calcola anche sui debiti e sugli interessi passivi, aiuta i forti e castiga i debob». Negb uffici deba federazione industriali gb esperti hanno fatto i conti. Il risultato è che le grandi imprese avranno dei risparmi; le piccole, che si sono indebitate per investire, subiranno aumenti per decine di milioni. E non è esattamente la medicina che può guarire la febbre della secessione. Sostanzialmente e simbohcamente rappresenta la prova che laggiù a Roma sono nemici del Veneto. Sarà anche per questo che molti figli laureati degli imprenditori del Nordest preferiscono fare i commercialisti piuttosto che continuare l'azienda del padre. Altri vorrebbero occuparsi di finanza o di commercializzazione dei prodotti, due questioni affrontate tradizionalmente «alla buona». I contrasti, ci raccontano, sono feroci, il conflitto profondo al punto da costituire in alcuni casi un rischio-sistema. Alla federazione degli industriali si organizzano corsi e studi, lezioni per far sopravvivere le aziende al passaggio di generazione, gli esperti declamano consigb mixando psicologia e strategie societarie. L'mdividualismo esasperato che ha costituito la ricchezza e la specialità del modello Nordest sta esplodendo ora come una debolezza. Cosa c'entra tutto questo con il vento della secessione? C'entra perché, ci spiega Arsellini, il «bollore» del Nordest è questo misto di sensazioni, ragion per cui arrivare al più presto al federabsmo è una necessità «tassativa»: «Le nostre imprese sono competitive fino al cancello della fabbrica, fuori non più». I nemici? Lo Stato, ma anche il grovigbo centralista, la burocrazia, i sindacati, peremo la Confindustria. Arsebini racconta di aver sfidato l'ira del vicepresidente degli imprenditori Carlo Callieri compiendo il «primo vero atto di federabsmo» costituendo un Fondo regionale di previdenza integrativa, «contro tutti». Non è una cosa da poco. Il Fondo, gestito pariteticamente da imprenditori e sindacato (solo la Cisl), potrebbe davvero funzionare da apriscatole del sistema nel futuro in cui l'Inps pagherà solo il 60 per cento delle pensioni e i Fondi il resto. Qui pensano di trasformarlo in investitore nelle imprese locab; c'è chi già immagina una Borea veneta. Ed è la secessione «tranquilla» che esce dalle analisi del sociologo Ilvo Diamanti quando dice che la frattura s'è già consumata e non c'è più bi¬ sogno di gesti eclatanti. Gb otto sul campanbe di San Marco sono saliti mesi fa e chi doveva capire ha capito. Semmai, ci spiega Francesco Borga, direttore della Federazione imprenditori, il rischio di una vera frattura poteva arrivare dal mancato ingresso dell'Italia neba moneta unica europea: il Nordest sarebbe stato attratto come la Slovenia o la Croazia nell'area del marco. E abora, Italia addio. Cesare Martinetti «Il primo atto di federalismo? Un fondo regionale di previdenza integrativa contro tutti» Il presidente degli industriali «L'Irap penalizza le piccole aziende e aiuta le grandi» A sinistra Mario Carrara qui sotto Massimo Cacciari e, a destra, un'impresa del Nord-Est

Persone citate: Borea, Cacciari, Carlo Callieri, Carrara, Francesco Borga, Ilvo Diamanti, Luigi Arsellini, Mario Carrara, Massimo Cacciari

Luoghi citati: Belluno, Croazia, Europa, Italia, Roma, Slovenia, Vajont, Veneto