L'onorevole smemorato

L'onorevole smemorato L'autodifesa dell'ex sindaco; non trovavo più il foglio. La sinistra? «Non sapeva nulla, ma l'avevo detto al Polo» L'onorevole smemorato SROMA EDUTO in uno degli ultimi banchi dell'aula di Montecitorio Giancarlo Cito si asciuga il viso grondante di sudore con entrambe le mani, poi apre una borsa in pelle nera stile Età Beta e fruga finché non tira fuori un fascicolo voluminoso. Lì dentro c'è la sua «salvezza», la missiva del giudice che di lì a un'oretta porterà non poco scompiglio alla Camera. Quando finalmente quelle cartelline dattiloscritte fanno il giro degli altri deputati, alle diciotto e cinquanta in punto, Cito sorride, suda, ma non si asciuga più. La seduta finisce e l'ex sindaco di Taranto si concede ben volentieri ai cronisti. Poco importa se qualche conto non torna. Cioè se il fax del giudice reca la data dell'otto gennaio. Come mai Cito l'ha esibito solo adesso? «Ne conoscevo il contenuto, però ho avuto queste carte in mano solo oggi... cioè ieri»., dice, e non bada a quella piccola contraddizione, mentre il sorriso si allarga a dismisura. «Ades- so - annuncia vado perché ho un appuntamento con il mio coimputato, il sindaco di Taranto: siamo entrambi in libertà». Però non se ne va. L'occasione è troppo ghiotta. Rimane lì, in Transatlantico, e racconta: «Tatarella sapeva sin dall'inizio che ' t'tt c'era quest'atto. Lo avevo informato io, di persona. E stamattina l'ho detto anche a Michele Saponara (componente di Forza Italia della giunta per le autorizzazioni a procedere, ndr). Quelli della maggioranza, invece, non ne sapevano niente». E ride, dopo aver pronunciato queste parole. Chissà se Cito si rende conto che non fa un gran favore al Polo rivelando tutti questi particolari. Anche perché i suoi colleghi del centro destra, nel frattempo, stanno dando le più disparate versioni su quello che è successo. Ignazio La Russa, esponente di spicco di An, nonché presidente della giunta per le autorizzazioni a procedere, spiega: «Ho chiesto io a Cito se per caso non avesse qualche risposta della magistratura dopo la scarcerazione dei suoi coimputati. Credo che non avesse tirato fuori quelle cartelline nel timore che rappresentassero un punto a suo sfavore». Riferisce invece Roberto Manzione, del ccd: «Quel fax l'ho preso io da Cito che ci aveva annunciato l'esistenza di un do l L'h di cumento in tal senso. L'ho distribuito perché lui se lo rigirava tra le mani senza sapere che farne». Ma la versione dell'ex sindaco di Taranto è un'altra ancora: «Quel fax - spiega - è spuntato solo adesso perché io non riuscivo a trovarlo tra tante carte». E per mostrare la buona fede, indica il borsone in pelle nera che ha posato a terra. Vittorio Sgarbi, che è al suo fianco, ride: non sembra credere nemmeno lui a questa storia. «Ma puoi dimenticare un preservativo - gli dice non l'atto che può tenerti fuori dal carcere». A questo punto ride anche Cito, per l'ennesima volta, però resta fedele alla sua versione. Quindi capisce che forse è l'occasione per fare un discorsetto serio: «Questo - attacca - non è né il momento né il luogo per fare del vittimismo, ma il documento in questione conferma che c'è una certa persecuzione nei miei confronti. Se neppure adesso ci crederanno, beh, vorrà dire che non resta che la fucilazione... Comunque, il mio caso potrebbe costituire un precedente per tutto il Parlamento, non solo per Previti». L'aria grave gli resta stampata sulla faccia solo per qualche frazione di secondo ancora, poi Cito afferra la borsa di pelle nera e, con espressione ilare e pie veloce, si allontana. Maria Teresa Meli L'ex sindaco di Taranto Giancarlo Cito

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