la love story dietro le sbarre

la love story dietro le sbarre L'EX DURO E LA SUA DONNA la love story dietro le sbarre Ivan e Cristina, una fuga lunga 13 niesi CELLA ostenta un'effimera sicurezza. Cante no: «Io non sono un duro». Si fa tentare, sospira, sbuffa, piccolo, rotondo e infagottato in un vecchio giubbotto. Prova persino a sorridere sulla richiesta della procura della Corte dei conti: «Vuole 5 miliardi da me». Cella, taglio di capelli da mohicano, giaccone alla moda, sportivo, più che parlare, sibila a mezza bocca. Ce l'ha con i cronisti: «Avete dato tutto per scontato». Perché è scappato? Una smorfia: «Sfiducia nei giudici». Nulla fa presagire che sia lui l'uomo della svolta, poche ore dopo. Nella gabbia di fronte c'è la sua domia, Cristina Quaglia, accusata di favoreggiamento nei suoi confronti: ne ha condiviso la latitanza in Albania e in Bolivia, il carcere in entrambi i Paesi. «Ho perso dieci chili mangiato solo riso e tanta paura». Tredici mesi, e adesso le Nuove. Non basta per allontanarla dall'amato: spende la sua prima udienza a guardarlo di lontano, a mandargli baci, a mimare parole per lui sulle labbra, ricambiata. E alla fine i due ottengono un breve colloquio: mezz'ora insieme, con i carabinieri attorno. E' sembrato che per lei contasse solo riabbracciarlo. Al suo ingresso in aula, pallida ed emozionata, l'uomo era riuscito a sporgere una mano dalla gabbia e ad accarezzarle i capelli. I parenti di Cella non si sono visti, i genitori di lei nemmeno. Fra i 114 testi citati dall'accusa c'è anche la figlia dodicenne di Cella. Al telefono dalla Bolivia l'uomo si era sentito dire a muso duro dalla ex moglie (che lui aveva chiamato presso la sorella di lei): «Tua figlia vorrebbe vederti dietro le sbarre piuttosto che saperti in fuga, come un vigliacco». Cella aveva chiamato per il suo compleanno. Al pm Malagnino la ragazzina ha raccontato che la sera del colpo, alle venti, aveva cercato papà sul cellulare: «L'ho sentito strano». L'ex moglie ha rivelato di essere finita in ospedale per le botte prese dal marito nel corso dell' «infelice matrimonio». Malagnino, ieri, ha rincarato: «Sappiamo che picchiava anche la Quaglia, ma poi vi erano determinati momenti che la ripagavano del resto». I muscoli di Cella si irrigidiscono e la sua faccia appare quella di un feroce guerriero che farebbe volentieri a pezzetti il magistrato. Quello stesso per cui Cante, poco prima, ha riservato un gentile pensiero: «E' colpevole dei miei infarti: dopo quattro minuti di interrogatorio mi disse che mi avrebbe fatto condannare all'ergastolo». Qualcuno disse: tanti nemici, tanto onore. Anche Cella e Cante, amici sin dall'infanzia, stanno per incrinare i loro trentennali rapporti. Il primo ringhia dalla sua gabbia aU'mdirizzo dell'altro: ((Andate da lui. Ha molto da dire, e poi è anche loquace». Cante non si fa pregare. Alla domanda se vi sia qualcun altro dietio questa storia, risponde senza esitazione: «I presupposti dell'organizzazione si vedono nell'in¬ chiesta sin da Alessandria, con la comparsa di quei due che portano i soldi ad Arimburgo. I soldi che non si sa dove sono finiti». E' la grande carta di Antonio Forchino, suo difensore, intenzionatissimo a battere la pista albanese: gli amici di Cella sono albanesi, uno dei due arrestato con la coppia in fuga a Tirana ha un nome analo¬ go a quello che l'ex moglie dell'imputato avrebbe definito il factotum del marito. E poi c'è quel pentito che, raccolte confidenze apparantemente esplosive da Giorgio Arimburgo in carcere, prova a rifargliele dire con un registratore a portata di voce, ma non ci riesce. Il mistero del denaro in gran parte svanito nel nulla rilancia dubbi e amplifica altre mezze frasi degli imputati. Come questa di Cristina Quaglia: «Dopo la rivolta e la fuga dal carcere siamo scappati dall' Albania perché la nostra vita era in pericolo». Del bottino sparito quasi non si parla nella relazione dei pm. Per ora ci si concentra sui perché della morte degli allegroni della compagnia, i rubacuori che volevano andarsene sotto il sole dei Caraibi a dimenticare le poste e tutto il resto. Oggi si saprà di più. Alberto Gaino L'ACCUSA Hanno ucciso le pistole di Cante e Cella Il camper di Cante con tracce di sangue di Ughini e forse di Guerzoni I cadaveri erano avvolti in un sacco a pelo e in un plaid riconosciuti dalla moglie di Cante La connessione con il furto: sul furgone c'è Cante, come addetto ai sacchi portavalori, Cella nei dintorni LA DIFESA Contesta le consulenze balistiche: sono di parte Cante: la 7.65 di suo padre era sparita il camper forzato c'è una pista albanese per arrivare al denaro e risalire da quello al duplice omicidio Cristina Quaglia, la fidanzata di Ivan Cella (foto sopra), che fu catturato dopo una lunga fuga in Albania e Bolivia ■/■■■<

Luoghi citati: Albania, Alessandria, Arimburgo, Bolivia, Tirana