« Il nostro calcio è una missione» di Ro. Be.

« Il nostro calcio è una missione» « Il nostro calcio è una missione» O'Rey: siamo poveri, ma ricchi dentro INTERVISTA DEI SUCCESSI I PARIGIL Brasile squadra dell'anno. Ronaldo Pallone d'Oro e Oscar Fifa per il 1997, davanti a Roberto Carlos. Non c'è classifica che, a cinque mesi dall'inizio dei Mondiali, non ancheggi o sculetti al ritmo di samba. Ne parliamo con Pelé, che del Brasile, a 57 anni, è il ministro dello Sport e che per il Brasile è stato, e rimane, re, ambasciatore, spot, monumento, bandiera. Esiste un segreto? «Ne esistono tre. La famiglia; la spiritualità intesa come fede in Dio; la ricchezza di dentro, superiore alla povertà esterna. La nostra scuola nasce dal senso di missione che ci accomuna. E se tu cre¬ di in quello che fai, quello che fai non ti pesa. Come ministro dello Sport, penso in grande, non solo al calcio. Penso agli emarginati, agli handicappati, alle altre discipline. E, soprattutto, lotto per abbattere la corruzione dilagante». Pelé contro Havelange, ma nel bel mezzo del gran gala Fifa, ecco che Pelé, sul palco, gli dà la mano e quasi lo abbraccia: «Non è uno scandalo se, fra una battaglia e l'altra, subentra una tregua. Io non mi vendo, e mai derogherò dai miei principi. Io, al massimo, tratto». Si rivede in Ronaldo? «Diversa è l'epoca, lo stile, il ruolo, tutto. Il sottoscritto era un numero dieci, lui è una punta classica. Ci unisce la gioia del gol. Di Ronal¬ do apprezzo le doti e, soprattutto, il carattere. Gran giocatore, splendido ragazzo. Io ho finito, lui è ai piedi della montagna. Lasciamolo crescere, arrampicarsi». L'ha visto all'opera nell'Inter? «In tv, qualche volta. Altra musica, rispetto al Barcellona, e alla nazionale. Il campionato italiano spreme gli attaccanti ed esalta i difensori. Ronaldo viene più marcato, e riceve meno palloni. Ma è sempre felice, e fa sempre la differenza». I Mondiali. Sulla carta, li avete già vinti. «Il Brasile è più forte che nel 1994. Soprattutto in attacco. Ci può fregare l'arroganza, la superficialità. Di Zagallo non mi fido. Può fare di più, almeno per me. Molto di più. L'ho detto e lo ripeto: grandi, per adesso, sono i giocatori, non la squadra». E l'Italia? «E' cresciuta, mi piace. Sarà protagonista. Come la Francia, la Germania, l'Inghilterra. Quale sorpresa, occhio alla Jugoslavia. Pochi hanno i suoi talenti, ma i suoi talenti sapranno fare gruppo?». Pelé, oggi, sarebbe sempre Pelé? «Modestamente sì. Ma non soltanto io. Anche Beckenbauer, Bobby Charlton, Eusebio. Forse che un Michelangelo o un Beethoven, se venissero sfrattati dalla loro epoca, non sarebbero più Michelange¬ lo, Beethoven?». Lei aprirebbe le porte della Hall of Fame a Maradona? «Mi rifaccia la domanda dopo cinque anni dal suo ritiro, come prescrive il regolamento. E comunque, tra i criteri selettivi non mi risulta che figuri esclusivamente il talento: c'è anche il fan play. Non aggiungo altro». Quando giocava nel Santos, la Juventus se n'era perdutamente innamorata. «Mi voleva Agnelli, ma non si crearono i presupposti, e poi voi italiani chiudeste le frontiere (nel 1966). Peccato. Ci saremmo divertiti. A quei tempi, si giocava per vincere. Oggi, per non perdere. Godetevi Ronaldo». [ro. be.]

Luoghi citati: Brasile, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Jugoslavia