Linea d'ombra torna ma senza Fofi di Mirella Appiotti
Linea d'ombra torna ma senza Fofi Dopo due mesi Linea d'ombra torna ma senza Fofi MILANO OPO due mesi di silenzio, e la dura quanto definitiva presa di distanze della sua I storica e davvero gloriosa redazione, Linea d'ombra torna in edicola. Anno 16°, numero 129, gennaio '98: una data, due cure in copertina per minimizzare, nella continuità, la frattura? In effetti tutti gli uomini e le cose sono cambiati nella rivista cult della sinistra letteraria (e non solo) italiana, inventata da Goffredo Fofi come un inesauribile viaggio di conoscenza (cui tutti hanno sempre collaborato gratuitamente) che ha attirato nel suo percorso, oltre ad alcuni padri della patria, «la meglio gioventù» oggi in gran parte diventata colonna della società, finendo per essere una sorta di arma di resistenza all'omologazione generale nei «terribili» Anni Ottanta. Autoesiliatosi Foli a Napoli e dintorni («Ero stufo di Milano, quel poco che avevo cercato di fare non era servito a niente»), dimissionario Oreste Pivetta che lo ha sostituito, solidamente, al timone, quando la proprietà della testata è passata per intero (e certo per poche lire) al Saggiatore, i direttori ora sono Brune Pischedda, scrittore «guastatore» della quiete culturale d'intensità non minore del «nemico» Fofi e Laura Grimaldi, la cui fama di esperta editoriale è quasi pari a quella eli autrice, l'uno impegnato sul terreno italiano, l'altra nei contatti con l'estero. Strutturata per topografie urbane (Pischedda non è autore di Com'è grande la città!) la nuova Linea d'ombra si propone «di accettare la sfida della modernità a 360 gradi» ma per poterlo fare, scrive il direttore nell'editoriale di esordio, «urge il cohivolgimento di settori ampi di intellettualità applicata, che matura opinioni argomentate, frutto di una pratica e di riflessioni quotidiane». Il primo numero '98 si apre con belle firme che non si lituano di fronte alle responsabilità (frecciate polemiche a Siciliano come a Serra come a Eco), ma come non sentire, almeno per ora, il vuoto lasciato dai cavalieri di re Goffredo, da Bobbio a Cases, da Beimi a Lerner a Manconi, a Sinibaldi, a Bettin, da Bertinetti a La Porta? Mirella Appiotti
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