Ricci, lo scandalo della tolleranza di Mirella Serri

Ricci, lo scandalo della tolleranza Tra fantasia e verità, un romanzo di Giuliana Berlinguer sul gesuita cinquecentesco Ricci, lo scandalo della tolleranza Missionario in battaglia all'ombra del potere cinese ALESSANDRO, svegliati. E' l'ora della preghiera»: l'africano Cafro non era un ribelle, era un uomo pio, religioso e un capace lavoratore. Era stato battezzato e gli era stato dato il nome di Alessandro. Ma il fiero mozambicano a cambiale nome proprio non ci stava. Rispettoso e paziente non voleva però perdere la propria identità. I gesuiti che lo avevano convertito insistevano nel dirgli che essere chiamato come un cristiano era un premio. Però il missionario Matteo Ricci polemizzava con i confratelli e non era affatto convinto che si dovesse forzare la volontà di Cafro. Ricci, nato a Macerata nel 1552, era stato inviato prima in India e, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1582, era partito per Macao con l'incarico di svolgere attività missionaria nell'impero cinese. L'episodio di Cafro apre il romanzo di Giuliana Berlinguer, Il mago dell'Occidente (Giunti), che ripercorre l'incredibile avventura che porterà Ricci fino a rechino, nella città proibita per essere ricevuto dall'imperatore. Il celebre sacerdote, che si dedicò a importanti opere astronomiche e matematiche, affascinò e sconcertò il mondo occidentale con la sua straordinaria comprensione dei riti e delle tradizio¬ ni della Cina. La storia del prete scienziato che predicava la tolleranza, sempre pronto al dialogo, è stata ricostruita con minuzia di particolari dalla Berlinguer, lei stessa grande viaggiatrice e conoscitrice del Paese della Grande Muraglia. La scrittrice ha impiegato circa 15 anni nella stesura della sua corposa narrazione di oltre 500 pagine. Il romanzo si muove tra fantasia e verità, attingendo notizie dai documenti d'epoca e dalle memorie di Ricci. A volte rielaborandole, ampliandole: come nel caso di Cafro, africano mai esistito, ma il cui personaggio nasce dalle numerose affermazioni rintracciate negli scritti del sacerdote sull'importanza del mantenimento del proprio nome da parte di chi aveva abbracciato la religione cattolica. E' un segnale, questo, di quali fossero le straordinarie qualità del battagliero gesuita che lottò per l'uguaglianza degli indiani o dei cinesi convertiti. Esigendo che avessero pari dignità e che fosse loro concesso un accesso alle cariche religiose analogo a quello dei credenti occidentali. Proprio per ribadire la sua disponibilità, Ricci, invece, in Cina accettò, con grande scandalo dei correligionari, di abbandonare il proprio nome e di farsi chiamare Li Madu. Non furono poche le guerre che il missionario dovette condurre in nome del suo credo. Era capace, osserva la Berlinguer, «di una tolleranza non passiva che non è solo rispetto per gli altri, ma anche capacità di aprirsi al confronto e di apprendere da altre popolazioni usi, costumi, abitudini». In un altro episodio del libro è narrato l'incontro di Ricci con l'imperatore Wanli: avvenimento singolare, in cui, però, il sovrano non si fa vedere. Il trono è vuoto e Ricci deposita i regali e se ne va. Non si sa se il dettaglio sulla massima autorità imperiale che si nasconde e che si presenta come un'ombra dietro una finestrina, descritto anche nelle memorie di Ricci, sia vero oppure frutto di una suggestione, preso da una leggenda popolare. In ogni caso è l'immagine di un enorme potere astratto che si esercita anche in assenza. Un bell'esempio, dunque, di incontro tra storia e invenzione: la ricostruzione storica, per nulla tradita, si riempie di echi e di informazioni e si avvantaggia della finzione romanzesca. Mirella Serri II gesuita Matteo Ricci viaggiò in India e in Cina nel Cinquecento

Luoghi citati: Cina, India, Macao, Macerata