L'abbraccio commosso della città di Marco Neirotti
L'abbraccio commosso della città L'abbraccio commosso della città Mia celebrazione c'erano gli amici della famiglia e tanti sconosciuti TORINO. Si sono incontrati i due dolori, un mese dopo. Il dolore atroce e privato di Avery e della famiglia Agnelli, e quello vasto e sbigottito della città. Si sono incontrati nel buio del tardo pomeriggio, al Santuario della Consolata. Intorno ai parenti, accanto alle istituzioni, c'erano i professionisti e gli operai, pensionati, studenti, 1800 o 2000 persone. Non c'era quello che Giovanni Alberto aveva chiesto di evitare: il clamore, lo «spettacolo». La pacatezza e lo spirito di quell'ora di memoria li ha individuati dall'altare monsignor Franco Peradotto: «Quanto più grande è il dolore, tanto più forte sentiamo il legame che ci unisce alla famiglia Agnelli attraverso colui che ha detto: "Venite a me voi tutti che siete nella sofferenza e nel pianto e io vi consolerò». Tutti, appunto. Questa celebrazione è preghiera e omaggio ma è anche comunione. Tanto fu privato il funerale, tanto ieri i cari di Giovanni Alberto stavano tra amici e sconosciuti. Alla città che aveva capito l'estrema riservatezza, la famiglia ha proposto la comunanza del ricordo quando non sono emotività o curiosità a muovere, in una partecipazione espressa come lui la chiedeva: offerte alla Fondazione per la ricerca sul cancro. E «grazie» è l'unica parola che ha detto Umberto Agnelli prima di salire in auto. Perché essere qui? Dentro e fuori la chiesa le risposte sono identiche: «Perché è giusto», «per dire senza parlare». C'è chi ha sfidato un traffico impietoso, venendo da Venaria - dov'è il parco della Mandria e dove abita la famiglia di Giovanni Alberto - ma anche da Mirafiori, il quartiere nato a ridosso e intorno alla grande fabbrica. Ci sono le signore di una borghesia che guarda cambiare la città e ragazzi che al liceo sognano come cambiarla. Ci sono i calciatori della Ju ventus, serrati dentro i cappptti scuri. Dal portale non si vedono le la crime di Avery, ma qualche donna asciuga un piccolo pianto ériàlza il viso subito. Tra sciarpe e cappotti ci sono tute blu dell'Amiat di Torino, non per rappresentanza, una testim'onianza di rispetto nel lavo ro, privata. Il 18 gennaio 1943 gli industriali meccanici fecero il bilancio dei bombardamenti che in novembre e dicembre avevano col pito 408 aziende. Pochi giorni do po, il 23 gennaio, proprio la Conso lata accolse la processione dei torinesi che imploravano protezione E proprio qui, nella chiesa antica così immersa nella città che muta, nei disagi e nelle sofferenze, una dinastia e la città si sono incontra te alla fine di un itinerario annun ciato il 13 aprile '97, quando Gio vanni Alberto Agnelli dichiarò alla Stampa: «Non ritengo di doverne fare un segreto. Mi hanno diagno sticato un tumore». E la città è nelle parole di don Savarino: «Giovan ni Alberto ha affrontato la morte con l'unico strumento efficace, la fede. Noi dobbiamo allenarci a giocare da protagonisti consapevoli del senso della vita». Ciò che questa gente al Santuario, ben oltre miti e favole, amava in lui. Marco Neirotti
Persone citate: Agnelli, Conso, Franco Peradotto, Gio Vanni Alberto Agnelli, Giovanni Alberto, Savarino, Umberto Agnelli
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