dà Il dramma di un quarantenne siciliano: isolato dalla famiglia, si vergognava di farsi mantenere dà Tenta il suicidio in piazza San Pietro: nessuno mi capisce in Diazza San Pietro. Ultimo di ROMA. C'è un uomo che brucia in piazza San Pietro. Ultimo di otto figli, disoccupato, scrive poesie. Ah, è anche omosessuale. Ha appena compiuto cruarant'anni, l'età dei primi bilanci. Serenità affettiva: zero. Accettazione sociale e familiare: zero. Posti di lavoro: zero. Prospettive di miglioramento a medio termine: zero. E allora cbe venga pure il fuoco e bruci la solitudine, l'incomprensione, il fallimento, tutto. Che le fiamme dell'inferno sgorghino dal suo corpo, davanti all'anticamera presunta del paradiso: la basilica del Santo Padre e così sia. Alfredo Ormando è arrivato in Vaticano alle otto del mattino. Ha comprato una tanica di benzina dal distributore di via delle Fornaci e l'ha infilata in una borsa nera. Poi si è nascosto dietro una colonna del Bernini e al riparo dagli occhi della gente, quegli occhi che secondo lui non l'hanno mai perdonato, Alfredo Ormando si è tolto la giacca e si è rovesciato addosso tre litri e mezzo di benzina. E' uscito allo scoperto come se niente fosse, mischiato alle babbione giapponesi che solcano fin dall'alba i luoghi del turismo e della fede. Ha superato il porticato del Bernini, cominciando a salire i gradini della basilica. Poi si è girato di colpo: ha guardato il presepe e l'albero di Natale che dominano il centro della piazza, ha preso l'accendino e si è dato fuoco. Un attimo prima di mettersi a urlare ha cominciato a correre. Correva verso il presepe, «un'immensa torcia umana», così lo hanno descritto i passanti. Correva e piangeva. Aveva molti motivi per correre. E per piangere. Alfredo Ormando, che con ustioni di primo grado sul novanta per cento del corpo sta lottando senza troppa speranza contro la morte in un ospedale specializzato di Roma, è nato a San Cataldo, un povero paese in provincia di Caltanissetta. Si era subito sentito diverso dagli altri, anche perché gli altri per lui erano i fratelli. Sette. Tanti e tutti semplici, incolti, un po' maneschi. Invece di fare a botte con loro, Alfredo Ormando si chiudeva in casa a leggere i lamenti dell'uomo in cui identificava la sua vita ipersensibile e triste: Giacomo Leopardi. I fratelli lo prendevano in giro perché pensava e non menava, perché leggeva e non amava, perché quando passava una ragazza abbassava gli occhi e diventava rosso. Finché una volta alzò gli occhi senza arrossire e li posò su un uomo. Alfredo Ormando era stato in seminario, ma lo aveva abbandonato dopo due anni: da quel genere di luoghi si esce preti o mangiapreti. Lui era diventato libero pensatore, un modo raffinato per dire che il perbenismo della Chiesa gli rodeva il fegato c gli induriva il cuore. Continuava a nascondersi dentro i libri, ma quando i fratelli minacciarono di bruciarglieli tutti se non si metteva a lavorare, decise che non era ancora arrivato il momento per il Grande Fuoco finale, decise di andar via. Il padre era morto e la madre Giuseppina gli disse: «Non ti preoccupare, vai, vai a studiare». Una donna forte, l'unica che lo aveva accettato e protetto. C'è sempre una donna forte dietro questi uomini così dolci e deboli. Non tutti i gay hanno la sensibilità di Alfredo Ormando, ma tutti soffrono le sue stesse pene. Per diventare un bonzo che brucia in piazza San Pietro la discriminazione sessuale della famiglia, del mondo e della Chiesa non basta. Però aiuta. Alfredo Ormando si era trasferito a Palermo in casa di Gaetano Mangano, un funzionario di banca in pensione amico suo, continuando a parlar male dei preti e benissimo di Leopardi. Sbrigava qualche faccenda e in cambio riceveva vitto, alloggio e i soldi per i libri e le tasse universitarie: si era iscritto a Lettere, studente fuori corso, fuori orario, fuori tempo massimo. Ha scritto una favola per bambini, «La storia di Grissino» e una raccolta di poesie, «Il Fratacchione» (e già il titolo è tutto un programma). Sognava di di- ventare un intellettuale vero, uno scrittore. Lo avviliva essere di fatto un mantenuto. L'ultima cosa che ha scritto sono state due lettere (una per la madre, l'altra per l'umanità) che la polizia gli ha trovato dentro il borsello. Un urlo di dolore contro la solitudine e l'incomunicabilità. Nessun riferimento diretto alla Chiesa. Anche se i suoi frequentatori (amici è un po' troppo) lo avevano sentito spesso dire: «Un giorno vado a San Pietro e mi do fuoco». Ma non si crede mai alle minacce di un irresoluto. Gli sono arrivati sopra in due, con una giacca spalancata e un estintore. Hanno impiegato qualche secondo per spegnergli il corpo, che voleva consumarsi fino alla fine. Quel che restava di lui li ha guardati dal basso in alto, senza riconoscenza: «Non sono neanche riuscito a uccidermi», ha mormorato prima di svenire. E in quel «neanche» c'era la sintesi di una vita intera. Massimo Gramellini Trovate due lettere un grido di dolore e di accusa per chi l'ha lasciato solo e discriminato E' in gravi condi2ioni Ai soccorritori ha mormorato «Non sono neanche riuscito a morire» Alfredo Ormando, l'uomo che ieri mattina ha tentato il suicidio in piazza San Pietro Il punto dove il quarantenne omosessuale si è dato fuoco

Luoghi citati: Caltanissetta, Palermo, Roma, San Cataldo