nel bosco dei semafori di Giorgio Calcagno

nel bosco dei semafori Esiste ancora ed è ambitissima: si riuniscono oggi i membri dell'Accademia fondata tre secoli fa da Cristina di Svezia nel bosco dei semafori m ROMA GGI alle 17, nella Biblioteca Angelica, il grande studioso Lirifilo Bodopeo parlerà su La dodicesima notte di Shakespeare, per inaugurare l'anno accademico dell'Arcadia. Come, esiste ancora l'Arcadia? Certo che esiste, è sempre quella, da più di trecento anni: sopravvissuta a tutte le devastazioni del mondo, sotto l'insegna della siringa di Pan, incorniciata dalla palma e dall'alloro che inalbera ancora oggi orgogliosamente sulla carta intestata. E questo Lirifilo Bodopeo che viene a parlarci di Malvolio in tempi così calamitosi? E' Agostino Lombardo, uno fra i maggiori anglisti italiani, entrato in Arcadia nel 1991 e oggi animatore fra i primi della gloriosa società. Davanti a lui ci sarà il fior fiore della università italiana, pardon, dell'Accademia: il prò custode dell'Arcadia Meandro Coroneo (il latinista Scevola Mariotti), che parlerà anche a nome del Custode Generale, Callistene Argolico, ammalato (lo storico dell'umanesimo Aulio Greco), gli accademici Nidalio Tirio (il filologo Aurelio Boncaglia), Diodoro Milesio (il francesista Giovanni Macchia), Libanio Epirotico (l'italianista e romanziere Ferruccio Ulivi), Alicandro Origio (l'itahanista Antonino Borsellino), la gentile Aglaura Cidonia (la portoghesista Luciana Stegagno Picchio). Non è certa la presenza del socio onorario Alfesibeo Cario, cooptato dagli arcadi il 14 febbraio 1989, quando casualmente era presidente del Consiglio sotto il nome di Giulio Andreotti. E il Savio Collegio dell'Accademia, che battezza i nuovi soci con i nomi storici degli antichi arcadi, a lui assegnò addirittura quello di Giovan Maria Crescimbeni, uno fra i 14 fondatori. Ma potrebbero arrivare, da fuori, personaggi come Aganisto Cresio (Vittore Branca), Acanto Euroteo (Mario Luzi), Firalgo Ninfasio (Andrea Zanzotto), Leone Triachio (Sebastiano Timpanaro), Mirtesio Caristico (Carlo Dionisotti). Nel vestibolo della Biblioteca ci guardano, dalle pareti, i ritratti degli antichi arcadi, nei loro costumi settecenteschi, rosseggiane, di porpora cardinalizia, scintillanti di corazze militari, nereggianti di velluti aristocratici, biancheggianti di trine e merletti femminili, dalle generose trasparenze. C'è, severo e pensoso, il conte Francesco Maria di Campello (Logisto Nemeo); c'è, sicuro del proprio ruolo, il cardinale Melchiorre di Polignac (Eleato Tiasio); c'è, campeggiarne con la sua mole, lo spampanato Pietro Metastasi (Aitino Corasio); c'è la matronale Diodata Roero Saluzzo, la scrittrice che piaceva tanto a Ugo Foscolo (Glaucilla Eurotea). E c'è, di fronte al fiero Stanislao I di Polonia (Clistene Mantineo), lei, la Basilissa, la donna a cui l'Arcadia deve l'origine, la grande Cristina di Svezia. E' opulenta, gonfia, il ritrattista non è riuscito a conciliare l'obiettività con la gentilezza. «Per fortuna Greta Garbo non deve averla vista mai», ci dice il nostro accompagnatore Ginestrio Aseatide, cioè il professor Emerico Giachery, studioso di Ungaretti e Montale (già arcadi tutti e due), oggi segretario dell'Accademia. Per quanto a noi possa sembrare strano, l'invenzione dell'Accademia ci viene dal Nord, dallo stesso personaggio che, prima di calare a Poma e farsi cattolica, aveva voluto alla sua corte il grande Cartesio (e che lo aveva visto morire, in poche settimane). Aveva riunito lei, nella Boma della Controriforma, quel gruppo di scrittori ed eruditi che poi, l'anno dopo la sua morte (1689), si sarebbero chiamati Arcadia, dal nome della regione greca dove Virgilio aveva ambientato le Bucoliche. E arcadi sono stati, in varie età, i successori di Cristina sul trono scandinavo. Il professor Giachery ricorda ancora quel giorno dell'ottobre 1991 quando furono ammessi in Arcadia Carlo XVI Gustavo re di Svezia e la regina Silvia Sommerlat.I reali erano reduci da una estenuante maratona per i meandri della Santa Sede, dopo la visita al Papa, ma non poterono sottrarsi alla cerimonia nella Biblioteca Vaticana: anche perché quel giorno lui doveva diventare Anassandro Cheroneo, nome già portato dal suo predecessore Gustavo III nel Settecento, e lei Eufrosine fllissea, ereditando il titolo della principessa svedese Sofia Alberta, arcade nel 1793. In realtà di tutto quel folklore bucolico non c'è più rimasto molto, nell'Accademia. Gli stessi nomi, custoditi con cura nel registro storico, vengono citati il giorno della nomi¬ na e poi dimenticati da molti dei personaggi che dovrebbero portarli. Ma l'ingresso in Arcadia, ci confida Giachery, è ancora oggi ambitissimo. Il Savio Collegio, composto da nove persone, che deve proporre all'assemblea i nuovi soci, riceve richieste, pressioni, anche da studiosi insospettabili. L'Accademia procede con parsimonia, filtra gli eletti accettandoli prima come soci corrispondenti e solo dopo molti anni di anticamera - ma non sempre - li fa ordinari. Luciano Anceschi, ammesso al primo grado, scrisse inutilmente all'Accademia per passare al secondo. Il poeta lucano Albino Pierro ci riuscì, dopo essersi molto raccomandato, e poi non si fece più vedere. Ma quella pergamena è un punto d'arrivo, alcuni la incorniciano in oro, la esibiscono nello studio. Diffamata per tre secoli, derisa fin dalle origini per le pastorellerie di cui si circondavano i suoi protagonisti, l'Arcadia ha avuto impreviste rivalutazioni nel nostro secolo. Critici come Mario Fubini e Walter Binni (Ieronte Frigio) hanno visto un tentativo di reazione all'arte e alla cultura barocca per trovare una nuova disciplina stilistica, che è la prima incarnazione italiana del razionalismo settecentesco, quasi presagio dell'Illuminismo. E in questo spirito si difende oggi l'Accademia, con le sue conferenze, i suoi corsi letterari, le sue pubblicazioni. «Facciamo quel che possiamo, con i pochi fondi disponibili», dice Ginestrio Aseatide. Non ci sono più i grandi mecenati alle spalle, il principe ha altri pensieri. Gli atti dei convegni a volte tardano a uscire anche per anni, in attesa di contributi. Uno dei maggiori proventi, per paradosso, viene proprio dalle origini pastorali dell'Accademia, il Bosco Parrasio sul Gianicolo, dove si svolgevano le riunioni a partire dal Settecento. E' una villa di straordinario fascino, nel luogo più suggestivo di Boma, proprio sotto il Fontanone. Gli accademici se l'erano potuta permettere perche avevano avuto una donazione da Giovanni V, re del Portogallo, acclamato arcade nel 1721, e ancora oggi ricordato con una lapide davanti all'ingresso. Per secoli si sono riuniti lì, hanno letto le loro poesie e le loro orazioni, sotto le querce e il grande pino che domina il parco. Poi l'Accademia ha avuto bisogno di l'ondi e ha ritenuto più vantaggioso dare la sede in affitto, riservandosi il diritto di tenere una riunione estiva all'aperto, per le letture poetiche. Nel dopoguerra era stata la casa di Susanna Agnelli, da qualche anno ci abita con la famiglia Franco Carrara, l'ex sindaco di Boma. Nel mese di giugno gli arcadi si sono ripresentati puntualmente, accolti nella cavea davanti alla casa. Hanno letto le loro pagine Vasco Pratolini e Libero De Libero, Mario Luzi e Piero Bigongiari, Albino Pierro e Italo Alighiero Chiusano, Maria Luisa Spaziani e Valerio Magrelli. Due anni fa, per il centenario del Tasso, c'è stata una lettura deìì'Aminta con musiche di Palestrina e Monteverdi. Nessun ambiente poteva essere più evocativo. Ma adesso il pino plurisecolare, che svetta altissimo lassù, più antico ancora dell'Accademia, dà segni di vecchiaia e le riunioni estive sono sospese. Bisogna accontentarsi di guardarlo dal cancello, nel bosco silenzioso, appartato, a poche decine di metri dal traffico di Boma. «E par che qui si rinnovelli l'Arcadia», viene voglia di dire, come aveva fatto uno di quei 14 fondatori nella prima riunione (e, senza saperlo, diede il nome all'Accademia). Difendersi dalle tentazioni. Soltanto poco più in là, sul muro di cinta, un ignoto che deve avere letto molto superficialmente il Crescimbeni, ha scritto col gesso, a grandi caratteri, «Boma merda». Giorgio Calcagno Sorpresa sul Gianicolo, sotto il pino più vecchio di Roma: è sopravvissuta anche la sede storica del mito a lungo deriso e diffamato La «Partenza per Citerà», dipinto di Watteau. Sotto, il Bosco Parrasio dell'Accademia dell'Arcadia a Roma

Luoghi citati: Palestrina, Polonia, Portogallo, Roma, Svezia