LA REALTA' CHE IMITA di Gabriele Romagnoli

LA REALTA' CHE IMITA DALLA PRIMA PAGINA LA REALTA' CHE IMITA da un milione di dollari a episodio. Proprio lì è cominciato il declino. Che fosse intelligente e bravo, popolare e amato gli era perdonato. Stramiliardario, no. All'inizio della nuova stagione un attore invidioso è sceso al bar sotto casa e ha detto all'avventore al suo fianco: «Seinfeld non è più lo stesso». Così cominciano le valanghe e i movimenti d'opinione. Dibattiti e sondaggi: Seinfeld non è più lo stesso? Senza aspettare la risposta, lui ha deciso di spegnere prima che lo spegnessero. Ora l'America attonita «davanti al nunzio sta». Nbc cerca disperatamente un programma per la successione, dopo che Seinfeld ha rifiutato un rilancio per continuare. Centinaia di persone vanno ogni giorno in pellegrinaggio da «Tom's», il ristorante di Manhattan usato per gh interni (il resto è girato in California). Le agenzie pubblicitarie sforano i budget per assicurarsi gli spot inseriti nelle ultime, storiche puntate ancora da trasmettere. Sono eventi al contempo consolatori e inquietanti. E' consolante venire dall'Italia vergognandosi un po' del proprio universo mediatico e popolare, ossessionato dal destino di Pippo Baudo, prono ai limiti dell'idolatria nei confronti di Mike Bongiomo, angosciato dalle sorti della spalla di Fabrizio Frizzi e scoprire che, come da proverbio, tutto il mondo è paese. E' inquietante accorgersi che «il meccanismo Seinfeld» ha definitivamente abbattuto il Muro tra realtà e fiction e ormai la gente cammina dall'una altra parte dei due mondi un tempo separati. Seinfeld non inventa né tormentoni né personaggi. Li prende dalla strada e li restituisce alle case, via televisione. Gh spettatori non li riconoscono, non si riconoscono. Fanno proprio quello che era già loro. Ripetono con entusiasmo le frasi che già dicevano di sfuggita. Enfatizzano se stessi. L'effetto straniamento è collettivo, la confusione di identità generale. Un esempio per tutti. Seinfeld ha dedicato una puntata al rito della minestra di mezzogiorno. Lo ha ambientato in un autentico ristorante (per la verità una baracca) che ia serve nell'Upper West Side. L'episodio si intitolava «La minestra nazi» perché il ristoratore, tale Al Yeganeh, realmente esistente, rifiutava di servirla ai clienti che non gli piacevano e urlava loro in faccia: «Niente minestra per te!». Al Yeganeh non ha querelato Seinfeld, limitandosi a dire: «Lui è un paghaccio e io non sono un nazista». Quando una giornalista televisiva è andata a chiedergli un parere sul ritiro di Seinfeld le ha urlato: «Niente intervista per te!». Era già oltre il Muro. Come molti, forse tutti. Ieri hanno trasmesso il primo spot dell'American Express che ha per testimonial Seinfeld e Superman. Perché Seinfeld? Hanno chiesto al copywriter. La risposta è stata: «Perché Clark Kent è un suo ammiratore, ne tiene l'adesivo sul frigorifero». Gabriele Romagnoli

Luoghi citati: America, California, Italia, Manhattan