Scandalo Somalia, la parola alle vittime di Foto Ansa

Scandalo Somalia, la parola alle vittime Oggi deporranno alla Commissione Gallo, domani davanti ai magistrati militari a Livorno Scandalo Somalia, la parola alle vittime A Roma i testi d'accusa per le violenze italiane ROMA. Vestiti con abiti leggeri, sandali ai piedi, disorientati e muovendosi sempre in gruppo, sono giunti ieri mattina all'aeroporto di Fiumicino gli undici somali testi e vittime delle presunte violenze da parte dei militari italiani durante l'operazione «Restore Hope». Gli inquirenti si attendono dalle loro deposizioni un contributo decisivo per appurare quanto avvenne. Oggi sfileranno davanti alla Commissione di inchiesta presieduta da Ettore Gallo e, domani, di fronte ai magistrati di Livorno. Poi, mercoledì, ripartiranno per Mogadiscio. Nelle deposizioni si parlerà anche del caso-Alpi perchè fra i somali arrivati c'è quell'Ali Mohamed Abdi che guidava l'auto al momento dell'agguato. I nomi dei passeggeri scesi dal volo giunto da Nairobi - accompagnati dall'inviato italiano in Somalia, Giuseppe Cassini rispondono agli episodi di violenza più noti e sui quali le indagini in corso hanno raccolto maggiori elementi, dopo la pubblicazione delle foto-choc su Panorama nel giugno scorso. «Siamo qui per ottenere giustizia e dire tutto quello che sappiamo, rimettendoci poi al giudizio della Commissione Gallo. Tutte queste persone sono stanche, ma vogliono parlare» ha detto Yahia Amir, 38enne presidente della «Società degli intellettuali somali» che ha contribuito a rintracciare i testimoni delle violenze. Dahira Salad Osman, 28 anni, nelle foto pubblicate appariva circondata da miMtari italiani e stuprata da un razzo da illuminazione nella vagina. L'immagine, scattata nella notte del 17 novembre 1993 presso il checkpoint «Demonio» a Balad, non permette di identificare i soldati, servirà quindi la sua ricostruzione dei fatti. Dahira, tratti sottili, vestita con un semplice sari J.ed accompagnata dal fratèllo Àbdukakir Salad Osman, dovrà ripercorrere quell'episodio di violenza, che l'ha segnata anche psicologicamente. La sua partenza per l'Italia è stata preceduta da un giallo: la madre sarebbe stata vittima di un rapimento a Mogadiscio. «Qualcuno non vuole che la ragazza parli alla commissione Gallo e racconti le vicende che le sono accadute, è l'ennesima dimostrazione che c'è chi tenta di ostacolare la nostra partenza e la ricerca della verità» ha dichiarato Yahia Amir. Aden Abukar Ali, 32 anni, è stato invece identificato con ii giovane ritratto nella foto scattata dall'ex para Michele Patruno il 9 aprile 1993 mentre, nel campo di Giowar, il sottufficiale Valerio Ercole teneva due elettrodi in mano, accingendosi ad applicarli sui suoi testicoli. La difesa di Ercole ha sempre sostenuto che Aden Abukar Ali era un «capo di malviventi». Ora toccherà a lui raccontare la propria versione dei fatti. A suo favore testimonierà Abdullahi Hussein Omar, -monne ex maggiore della polizia ed all'epoca dei fatti vicecomandante del commissariato di Giohar, nel cui campo militare sarebbe avvenuta la tortura con gli elettrodi. I riscontri già eseguiti a Mogadiscio fanno ritenere agli inquirenti «attendibih» le testimonianze di Dahira ed Aden, come anche quella di Abdullak Sheik Ismail, uno dei tre somali che, dopo gii scontri al check-point «Pasta» del 3 luglio 1993, sarebbero stati duramente percossi dai nostri soldati. Vi sono due filmati, della Rai e della Cnn, che confermerebbero questa tesi. Dall'aereo sono scesi inoltre Hashi Omar Hassan, 22 anni, che dice di essere stato buttato nel porto vecchio di Mogadiscio con mani e piedi legati; Abdulle Mao Afrah e Ibrahim Mohamud, «incaprettati» e quindi malmenati ad El Dere; Abdirahman Haji Gaal, avvocato e presidente del «Consiglio per la ricostruzione della Giustizia» ai tempi di «Restore Hope». Occhi puntati anche su Ali Mohamed Abdi, autista della vettura sulla quale viaggiavano l'inviata del Tg3 Ilaria Alpi ed il suo operatore Miran Hrovatin quando furono assassinati a Mogadiscio. Appena giunto a Fiumicino Abdi ha detto solo: «Non conosco gli aggressori, Ilaria era seduta dietro Hrovatin quando ci fu l'assalto». Immediata la replica di Giorgio Alpi, padre della giornalista assassinata: «Sono parole assai strane, abbiamo un altro documento nel quale l'autista dice di poter riconoscere tutti gli assalitori». Il legame fra le torture ed il casoAlpi viene dal diario del maresciallo del «Tuscania» Francesco Aloi, in cui è scritto che la giornalista avrebbe temuto «più gli italiani dei somali» per via delle «cose storte» scoperte. [m. me] Blitz giudiziario Già dopodomani saranno riportati a Mogadiscio I testimoni somali all'arrivo a Roma per deporre sulle torture [FOTO ANSA]