Ricette anti-crisi

Ricette anti-crisi Ricette anti-crisi 77 made in Italy resiste al crollo del «Far East» MILANO. Macché crisi. A giudicare dalla consueta folla di giapponesi in paziente attesa in via Mont.enapoleone, davanti ai negozi che recano la parola magica («saldi», ovviamente...) la bufera su Tokyo e sul Far East sembra più un'invenzione dei giornali che una minaccia concreta. L'atmosfera, alla vigilia delle sfilate milanesi dedicate alla moda uomo, è insomma quella di sempre, indaffarata, un po' chiassosa, senz'altro piii frenetica che preoccupata. Nel mondo del lusso, d'altronde, l'Italia è senz'altro una grande potenza: almeno il 30 per cento del mercato (75 mila miliardi a livello mondiale, secondo le stime dello studio Pambianco, uno dei guru del settore) è nelle mani delle griffes di casa nostra. Se si passa alla moda in generale, il valore globale del mercato sale a 750 mila miliardi e l'Italia controlla il 12 per cento di questo fiume di denaro, ovvero 90 mila miliardi circa, di cui 16 mila miliardi nel solo abbigliamento. Eppure, al di là delle cifre, qualche preoccupazione potrebbe pure starci: il mercato degli Usa cresce ma non decolla, l'Europa ristagna. E dal Far East il bollettino è addirittura disastroso: crolla la Corea del Sud, in classifica al 13" posto tra i clienti della moda maschile italiana, non va molto meglio Singapore, frena la Cina. E il Giappone, secondo cliente in assoluto del «made in Italy» (soltanto quinto, però, nella moda uomo), nei primi 11 mesi del '97 ha tagliato gli acquisti del 10 per cento. Tutto vero, si obietta, ma non è il caso di esagerare. Quella italiana è un'industria globale, capace di reggere all'impatto della crisi di un cliente, pur importante come il Far East. L'export della moda italiana verso il Giappone, ad esempio, nel '98 oscillerà comunque attorno ai 5 mila miliardi, ovvero il 4 per cento soltanto dei consumi giapponesi. E i prodotti di qualità italiani tirano ancora, come dimostra il fatto che il calo dell'export sia più marcato nelle quantità che nel valore. La crisi, insomma, c'è, ma non per tutti. La Canali, addirittura, segna un incremento di vendite a Tokyo, mentre la Zegna (40 milioni di dollari di vendite in Giappone nel '97) ha in cantiere la prossima apertura ad Osaka. E quella dell'apertura di punti di vendita diretti o di legami più stretti con distributori molto qualificati sembra la strategia vincente per il prossimo futuro. Per i più forti il peggio, a detta degli esperti (primo fra tutti Carlo Addis, per sette anni a capo dell'ufficio Ice a Tokyo), potrebbe essere quasi passato: a metà del '98, dopo sette anni di consumi depressi, il mercato giapponese potrebbe dare segni di ripresa. E in quel momento sarà importante disporre della rete commerciale adatta, acquisita magari in questi mesi a prezzi meno proibitivi del solito. E non sono pochi i nomi dell'industria italiana che possono sviluppare una strategia di crescita nella distribuzione, a livello globale. Anche perché i maestri dello stile hanno dimostrato di saper far di conto. Basti l'esempio di «re» Giorgio Armani: 29 lire di margine su 100 di fatturato. Nessuno in Italia, parola di Mediobanca, ha saputo fare altrettanto. [u.b.l

Persone citate: Carlo Addis, Giorgio Armani, Pambianco, Zegna