Il pellegrinaggio del dolore

Il pellegrinaggio del dolore Il pellegrinaggio del dolore Da Roma a Maglie, ilpullman del popolo di Di Bella DALLA PRIMA PAGINA MAGLIE (Lecce) DAL NOSTRO INVIATO «Se fossi io ministro saprei già come risolvere il problema», dice Carlo Madaro. In questo incontro e in queste parole c'è tutta l'impossibilità di essere normali che unisce un drappello di malati e il suo pretore paladino, che unisce questo processo irreale ai totem della medicina e il suo pubblico disperato, e anche l'illusione salvifica di un tribunale e la realtà terribile del cancro. Ieri notte, i sofferenti di Di Bella sono saliti su un pullman e hanno fatto un pellegrinaggio a Maghe per osannare il loro pretore. Può darsi che in Italia sia normale tutto ciò e non importa che lo sia meno ai nostri occhi. Nel corteo che bucava la notte e la nebbia per scendere qui a omaggiare un processo, erano troppe le storie di morte e di dolore per non aver rispetto e pietà di tutto questo. E allora è davvero come scrisse Proust: «La speranza del soccorso dà nuovo coraggio per soffrire». Perché è questo coraggio di fronte al dolore che colpisce, è questa voglia di combattere che rende grande anche l'impossibilità di essere normali. La folla ha urlato, applaudito, pianto, baciato e abbracciato il pretore davanti alla ressa delle telecamere. Lui diceva «io sono uno semplice come voi, io ho perduto mio padre per una malattia come la vostra, 10 so che la vita è difficile e nessuno vi regalerà niente». Lui diceva che se fosse ministro saprebbe come risolvere questo problema: «Farei vendere questa medicina a due lire. Così fanno la sperimentazione, e la gente può continuare a vivere. Ma io non sono un ministro. E queste sono cose da gente semplice. Faranno la sperimentazione che durerà anni mentre i malati muoiono perché non possono comprarsi la medicina». Lui diceva questo, e loro non finivano più di scaldarsi le mani, di alzare cartelli, di gridare «bravo bravo», di urlargli «grazie». Nella stessa aula, dove martedì il processo riprende con l'interrogatorio del presidente della Cuf. Ma se tutto questo può sembrare in qualche modo assurdo, ancora più assurdi e terribili erano i racconti del pullman del dolore. Era questa notte che cominciava nel cuore di Roma, sulla Salaria, sotto un palazzo di 14 piani, tutti convocati da Radio Radio: un pullman e una coda di macchine. 54 sul bus, 32 sulle auto verso Maglie. Altri 44 senza posto che potevano solo salutare i pellegrini del dolore. «Senza speranze» 11 primo che restava a piedi era Roberto, il volto scavato, tutto stretto nel suo cappotto di cammello: «Io ero al quarto stadio del mio linfoma, quando grazie a Ilario Digiambattista di Radio Radio ho incontrato Di Bella. Fu lui a dirmi: perché non ci provi? Speranze non ne avevo. Ci andai. Tre anni e mezzo fa, ho speso una fortuna, ma adesso sto meglio, da allora il mio cancro s'è fermato ed è come se vivessi con la morte bloccata sulla porta. Per voi forse non sarà un bel vivere, ma per me è la vita ed è tutto. Però, io le cartelle non le dò. Io non mi fido di Garattini. Qui c'è gente che paga il minimo errore sulla propria pelle, e c'è gente che non paga mai. Ma ai tempi di De Lorenzo chi erano quelli della Cuf? Gli stessi di oggi. Noi non lì voghamo questi. Di Bella non la vuoile la vecchia commissione. E su questo pullman dovrebbero invitare tutti i Poggiolini del mondo: dovrebbe essere questa la loro pena. Solo che loro ce l'avranno mai una coscienza per capire?». Roberto parla nella notte fredda, sotto il pullman che scalda il motore mentre finisce il collegamento con Radio Radio. Dentro, nel bus, si siedono parenti e malati. «Rinata in due mesi» Lidia Guerra: «Mia sorella è stata operata da due mesi. Pohclinico. Allo stomaco, una neoplasia di 30 cm di diametro. Le hanno levato praticamente tutto lo stomaco. E' al 4° stadio e cardiopatica: non poteva fare la chemio. Il medico mi dice: non c'è niente da fare, la deve mettere su una sedia e aspettare il Padre Eterno. Allora, io le ho detto: proviamo da Di Bella. Due mesi, ed è rinata. Cammina, mangia, cucina, lavora. Vive. Quel medico l'ha rivista adesso e mi fa: non ci credo. Per queste cure, Silvia ha venduto la roulotte che era la cosa a cui teneva di più, e ora si vende tutti i gioielli di famiglia. Quando avremo finito anche quelli andremo dal pretore». E' quasi l'una. 11 pullman parte. Di Giambattista scherza: «State tranquilli, mancano 800 km». Sobbalzi sulla strada. Troupe della Rai attorno a una signora. Flora Colitta, 58 anni. Il marito la accarezza teneramente. «Ho un linfoma maligno. Da un anno e due mesi sono in cura da Di Bella. Voglio andare a Lecce per ringraziare il pretore per tutto quello che sta facendo. Vi auguro di non dover mai arrivare al mio punto per capirlo. Il calvario è cominciato 2 anni e mezzo fa. Chemio. Dopo il sesto ciclo mi dicono: non possiamo più andare avanti. Non mi reggevo in piedi. Cadevo proprio, mi trovavo a terra come un sacco vuoto. Radio Radio mi mette in contatto con Di Bella. Prima di trovare il professore, spugnavo lo specchio per non guardarmi. Mi facevo effetto. Sono rinata. Vuole vedere le foto?». Quali? «Prima di Di Bella». Le tira fuori. Il volto gonfio, rasato, gli occhi rossi, da marziana, fuori dalle orbite. «Era l'ottobre '96.1 miei figli sono andati a Modena, al ritorno sono venuti con questo foglietto, questa ricetta: adesso tocca a te decidere. Il 7 novembre ho cominciato. Pago un milione al mese. Sono passati 13 mesi: 13 milioni». Però stasera è una dolce signora di 58 anni. Dietro di lei c'è Pino che viene a Maglie solo nella speranza che lo aiutino a incontrare Di Bella per suo padre. E c'è Danilo Prati, che invece l'ha già incontrato: «Per mio papà. Ha 53 anni, operaio Enel. Cancro al polmone. Da due anni e mezzo a Modena, subito dopo che i medici gh avevano dato due mesi di vita. Le cure costano 780 mila lire ogni tre giorni, fate i calcoh: quasi 8 milioni al mese. Somatostatina in farmacia nelle dosi da 0,5. Però vive, da più di due anni di quel che doveva». Ma come fa a pagar le cure? «I nostri stipendi. Mio padre grazie a Di Bella è tornato al lavoro. Anch'io sono operaio». E quanto guadagnate? «Tre milioni in due. Poi abbiamo venduto la casa di Colleferro. E poi tutti i nostri gioielli. Ora non abbiamo più niente». E come fate con due stipendi? «E come faccio? Mo' v^do a 'rrubbà». Vicino a lui, Aldo Andreoh, disoccupato. «Io in famiglia ho 4 morti di chemio. Allora, mi spieghino con quali cartelle cliniche hanno deciso che la chemio andava bene. Mio padre ce l'aveva in testa, gh ha preso l'osso. Mio zio il rene e non s'è fermato. Mia zia pure. A mio fratello gh ha mangiato il fegato. Con Di Bella noi portiamo la gente che continua a vivere, sono queste le nostre cartelle». «Leucemia bloccata» Delfino Ciarni: «Mio suocero doveva morire prima di Natale. Con la somatostatina è tornato a camminare e leggere». Claudio: «Devo la mia vita a Ilario. Avevo la leucemia. Facevo sport e Radio radio parlava molto di sport e l'ascoltavo. Lui m'ha detto di andare da Di Bella. Da due anni e mezzo la mia leucemia è bloccata e io continuo a fare sport. Solo che la chemio ha fatto in tempo a rendermi sterile. Non mi hanno avvisato che potevo depositare il mio seme. E' questa la medicina che cura i malati: un'indifferenza simile alla crudeltà. Invece, mi ricordo la prima volta che andai da lui. Suonai e venne questo signore a aprirmi, con i suoi capelli bianchi e la testa sbilenca. Sembrava il mio maestro, il mio droghiere. Il nonno buono della famiglia. Accompagnandomi dentro, mi sorrideva». Alle 10, quando il pullman del dolore è arrivato a Maghe, c'era ancora altra folla che assiepava la pretura aspettando Madaro. Magari non è normale tutta questa sofferenza che s'incontra. E magari non è neppure normale il coraggio che ci vuole per farlo. Però è anche questa la vita che ci cammina accanto. Dovremmo vederla più spesso. Pierangelo Sa pegno In viaggio per dire grazie al pretore che ha aperto la strada della terapia e denunciare il loro dramma Un paziente: ora vivo come avessi la morte bloccata alla pòrta La manifestazione dei sostenitori di Di Bella davanti alla pretura di Maglie Una donna, arrivata da Roma bacia il pretore Carlo Madaro «Qui c'è gente che paga il minimo errore sulla propria pelle e c'è invece gente che non paga mai Ci roviniamo per avere quella cura»