Un libero pensatore in toga di ermellino
Un libero pensatore in toga di ermellino Un libero pensatore in toga di ermellino PERSONAGGIO LA «RIVOLUZIONE» DEL PROCURATORE ROMA ELLE occasioni ufficiali indossa una toga rossa con bordure di ermellino. Ha un nome altisonante con ben tre cognomi, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca. In tre anni s'è distinto per discorsi di logica cristallina, molto attenti a non urtare le sensibilità politiche e ideologiche, ma talmente impregnati di rigore giuridico che alla fine ne emerge un'ideologia in sé. Zucconi Galli Fonseca resta però un magistrato poco conosciuto perché assai schivo e anzi nemico delle esternazioni dei giudici. Chi è il procuratore generale della Cassazione, da tre anni massimo responsabile dell'accusa in Italia, l'unico che possa mandare sotto processo i suoi colleghi e che ieri ha stupito il Capo dello Stato quando s'è lanciato nell'ardita proposta di soniministrare stupefacenti ai drogati? Le biografie sono, in linea con il personaggio, risicatissime. Ma l'uomo, arrivato ai vertici della procura generale di Cassazione nel maggio '95, si sta creando una solida fama di libero pensatore. Non ha avuto remore, infatti, nel mandare sotto processo disciplinare il superprocuratore antimafia, Piero Luigi Vigna, ad esempio, quando l'allora procuratore di Firenze disse una parola di troppo, a suo giudizio, sulVaffaire Brusca. Ugualmente ha ritenuto di avviare un'istruttoria contro Fabio Salamoile, il pm di Brescia «arcinemico» di Di Pietro. I suoi «atti di incolpazione» sono piovuti sul capo dell'allora procuratore di Roma, Michele Coirò, quando sbottò in un'intervista «Non mi faccio giudicare!». Oppure sul giudice Guidò Salvini, quello che indaga le stragi milanesi. E su Alberto Cardino, pm di La Spezia, che si lanciò nell'annunciare la presenza di «eminenti politici» nella sua inchiesta su Armi, Ferrovie & Mazzette. Altri famosi procedimenti disciplinari, però, li ha fatti archiviare. Quando l'allora ministro Filippo Mancuso pretese un procedimento contro Borrelli e i suoi per «mtimidazione» nei confronti degli ispettori - il riferimento è alla ispezione ordinata da Biondi nel 1994 - Zucconi Galli Fonseca, appena arrivato alla guida della procura generale, dovette sì istruire la pratica, ma al Consiglio superiore della magistratura la inviò con allegata una richiesta di archiviazione. Da allora il magistrato è nel mirino di certa stampa di destra che non perde occasione per metterlo in difficoltà. L'ultima è di ieri, quando II Foglio, nel raccontare di un procedimento disciplinare contro Otello Lupacchini, gip di Roma, ha voluto parlare di «una autodifesa che imbarazza». E non ha riferito, invece, di una recentissima risposta di Flick, in Parlamento, che ha scagionato assolutamente il procuratore generale dal sospetto di aver avuto contatti con un boss della Banda della Magliana, Danilo Abbruciati. Eppure Zucconi Galli Fonseca dovrebbe piacere ai garantisti perché è un magistrato all'antica. L'intera sua carriera, eccetto gli esordi di pretura a Cortina d'Ampezzo, si svolge nelle corti d'appello di Venezia e di Roma. In quegli anni non sostiene l'accusa, ma fa parte della magi- stratura giudicante. Nel 1981 è nominato procuratore generale dell'Aquila, nel 1983 è presidente di sezione della Corte di Cassazione, dall'agosto 1987 è presidente aggiunto della suprema Corte. In tutti questi anni si costruisce una solida fama di giurista. E matura un'invincibile avversione per il protagonismo di certi pm. Un'avversione che esce fuori prepotente da quando siede alla poltrona più alta della procura generale. Nel gennaio '96, alla sua prima inaugurazione di anno giudiziario, ammoniva i pubblici ministeri contro «i pericoli della popolarità che può portare, e più volte li ha portati, a uscire dal riserbo e dalla compostezza». Erano anni, quelli, in cui il Pool di Milano era autorità incontrastata. Eppure Zucconi Galli Fonseca sentì il bisogno di ricordare ad alta voce che «il commento pubblico di iniziative o provvedimenti del proprie ufficio non è consentito». Non che Zucconi Galli Fonseca fosse debole verso i politici. Già allora si parlava di amnistia e di uscita politica da Tangentopoli. E lui: «La politica deve riacquistare il suo primato sull'illecito, non sulla giustizia». Ma subito riequilibrava: «Il magistrato non soltanto dev'essere, ma anche apparire, indipendente. Ugualmente egli deve non solo non fare politica, ma neppure far credere che la faccia». L'anno successivo - era il gennaio 1997 diede addosso a «quei costume di non pochi magistrati di farsi essi stessi soggetti attivi di informazione». Anche quella volta, aveva appena criticato «gli eccessi di protagonismo». [fra. gri.] Sue le azioni disciplinari contro Vigna Coirò e Salomone Un uomo schivo «nemico» storico delle esternazioni dei magistrati Un «no» a Mancuso nella guerra al Pool gli ha procurato l'odio della destra Una lunga carriera dalla pretura di Cortina ai vertici dell'accusa in Italia
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