«La sola cura è l'austerità» di Andrea Di Robilant

«La sola cura è l'austerità» IL NOBEL E LA CRISI «La sola cura è l'austerità» Samuelson: le Tigri sono paralizzate washington DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Il Fondo monetario è sotto tiro. Nel momento del suo massimo sforzo - risorse allo stremo e una bufera finanziaria in Asia che peggiora di giorno in giorno - l'Fmi deve anche difendere la sua politica di austerità dagli attacchi sempre più intensi di banchieri, di economisti di grido e adesso anche della Banca mondiale. La cura del Fondo «uccide o guarisce?», si chiede l'Economist nel suo titolo di copertina di questa settimana. Abbiamo rivolto la domanda a Paul Samuelson, premio Nobel per l'economia e professore emerito al Massachusetts Institute of Technology (Mit). Professor Samuelson, pensa anche lei che la cura restrittiva del Fondo monetario faccia più danni di quanti non ne ri- solva? «E' l'unica cura che c'è. Non è detto che funzioni, certo, ma è la più plausibile, la più difendibile e comunque non ne vedo altre. E poi le assicuro che i consigli del Fondo monetario - austerità fiscale, abbattimento dell'inflazione, maggiore trasparenza - sono buoni consigli. Specie in quei Paesi asiatici, dove non è mai chiaro dove finiscano i soldi che entrano». Più che consigli quelle del Fondo sono condizioni. Il suo collega Jeffrey Sachs e altri sostengono che questa politica del diktat economico-finanziario rischia di soffocare Paesi che hanno mostrato di essere vitali e produttivi. Che ne pensa? «Mi sembra una posizione ingenua. Sachs ritiene che la politica dell'Emi sia troppo austera e finisca per provoca- re crisi economica e disoccupazione, mentre questi Paesi potrebbero in realtà uscire dalla crisi attraverso lo sviluppo. Dice in sostanza: lasciamoli crescere del 4 per cento, 6 per cento, 8 per cento e vedrete che le cose si aggiusteranno. Ma questa è una visione troppo semplicistica». In che senso? «Questi Paesi non abbandoneranno la loro gestione economica dissoluta solo perché in passato hanno dimostrato di poter produrre e prosperare. Se il Fondo non imponesse le sue condizioni, il sistema non cambierebbe. L'austerità è indispensabile per ristabilire fiducia nei mercati e attirare nuovamente i capitali dall'estero. La ricetta deve essere dura per essere buona - il futuro dopotutto dura più del presente. Anche se ovviamente non deve essere portata avanti sino all'eccesso». In queste ore l'attenzione è concentrata sulla situazione in Indonesia, dove il regime di Suharto fatica a seguire la ricetta imposta dal Fondo monetario. Come valuta la situazione? «Mi sembra che ci sia uno stato di vera e propria paralisi. Il presidente Suharto ha problemi di salute. I suoi collaboratori danno l'impressione di essere completamente smarriti. Alle conferenze stampa si presentano con espressioni attonite. E immagino che lo spettacolo di una popolazione sempre più ostile li spinga a voler rompere con il Fondo monetario. Ma se vogliono salvare il Paese non hanno altra scelta se non quella di seguire i consigli deH'Fmi e accettare i fatti della vita. Il Fondo, del resto, non ha risorse illimitate. Ed è naturale che voglia dare una mano solo a determinate condizioni». Quale sarebbe il prezzo di un fallimento in Indonesia per il Fondo monetario? «Sarebbe ovviamente alto. Tenga presente che l'ino ad oggi il Fondo non ha mai subito una sconfitta importante. Un fallimento in Indonesia, in Corea del Sud o in Thailandia, dove le cose non stanno andando molto bene, sarebbe un grandissimo smacco per il Fondo. Di più: sarebbe un grandissimo smacco per tutti i Paesi coinvolti nel sistema, e principalmente per il G7. Insomma, il mondo sarebbe all'indomani di un fallimento del Fondo monetario in Asia molto diverso da quello che conosciamo». Rimane ottimista? «Alcuni temono che il Fondo monetario abbia voluto strafare affrontando contemporaneamente più crisi di quante non ne possa in realtà gestire. Sarà anche vero ma tutto sommato la crisi valutaria di questi giorni dovrebbe creare delle buone occasioni di ripresa per quei Paesi, stimolando le esportazioni verso gli Stati Uniti. E per di più senza alimentare l'inflazione in casa nostra, con buona pace di Alan Greenspan, presidente della Federai Reserve». Andrea di Robilant «Il prezzo di un fallimento dell'intervento occidentale sarebbe decisamente alto Il mondo cambierebbe volto» Paul Samuelson

Persone citate: Alan Greenspan, Jeffrey Sachs, Paul Samuelson, Professor Samuelson, Samuelson, Suharto

Luoghi citati: Asia, Corea Del Sud, Indonesia, Massachusetts, Stati Uniti, Thailandia