Zemi, il testimone muto
Zemi, il testimone muto ETNOGRAFIA Zemi, il testimone muto Un idolo unico al mondo dai Caraibi adorino LM 8 gennaio, al teatro Colosseo di Torino, per la serie dei GiovedìScienza, l'antropologo Alberto Salza terrà una conferenza su: «Uomini in evoluzione, uomini in estinzione». Per l'occasione Salza avrà sul palco una spalla eccezionale anche se muta: lo «Zemi de Algodon», impressionante pupazzo precolombiano, alto 75 centimetri, un po' idolo, mi po' feticcio, appartenente alla cultura degli indios Taino, popolazioni caraibiche scomparse da secoli, di religione animistica. Questo Zemi, contenente un cranio umano, classico esempio di sepoltura secondaria, ritrovato in una grotta dell'isola di Santo Domingo, è conservato da prima della guerra nel Museo di Antropologia dell'Università di Torino ed è - che si sappia - l'unico al mondo in cotone. Ne esistono alcuni altri, ma solo di legno. «Nel 1992 - racconta Melchiorre Masali, direttore dell'Istituto che ha fatto meticolose ricerche sul reperto venne esposto a Genova per le Colombiadi, e fu assicurato per due miliardi e mezzo». Dopo un restauro effettuato dal laboratorio Nicola di Aramengo (Asti), lo Zemi fu sottoposto a una Tac al Cto di Torino, a cura di Franca Strikler Ligabue, docente di ecologia umana, per consentire un'analisi non distruttiva; il referto fu che il cranio, privo delle ossa occipitale, temporale e parietale, è deformato con appiattimento dell'osso frontale («deformazioni intenzionali tabulari del capo a scopo rituale»), ed è rivestito con frammenti di crescentia cujete, una zucca tropicale usata un tempo anche come contenitore per cibi. Lo «scheletro» è composto da un bastone, bifido verso il capo, e una pietra Usciata all'interno del torace. L'avventurosa storia del viaggio da Santo Domingo a Torino è oscura e poco documentata. La prima notizia dello Zemi è del 1891, ne parla un americano, Walter J. Fewkes, che racconta di aver ricevuto alcuni disegni da un capitano di Boston, un certo Natkan Appleton. L'anno seguente Rudolf Cronau parla dello Zemi domimeano in relazione al culto degli antenati. Undici anni dopo il feticcio non era più a Santo Domingo; probabilmente era già in Italia, portato a Genova da un certo Cambiaso. I passi successivi non sono noti. Si sa solo che venne acquisito al museo torinese fra il 1935 e il 1941, dall'allora direttore (e fon¬ datore nel 1911 del museo stesso) Giovanni Marro, ma la sua precisa identificazione venne solo negli Anni 70, quando fu usato, tra l'altro, come logo (Studio Testa), per una provvisoria riapertura del museo. Dopo la breve comparsata di domani, lo Zemi tornerà nella sua teca di cristallo nei secenteschi locali del San Giovanni Vecchio, austero e labirintico edificio barocco (che ospita anche i musei di Zoologia e Scienze Naturali), i cui restauri non finiscono mai. Dal 20 gennaio sarà però visibile al pubblico, in occasione della mostra «Luci su 6000 anni uomo», assaggio di paleoantropologia, con una piccola parte delle inigUaia di reperti custoditi in oltre cinquemila casse, in ma¬ gazzini e cantine dell'Istituto. Insolito l'allestimento, che prevede visite al buio; ai visitatori vengono consegnate delle torce elettriche con cui scoprire brandelli della storia dell'uomo: calchi di crani, cervelli in formalina, una mummia egiziana predinastica (4000 a.C), appartenente a una donna deceduta per inversione dell'utero post partum, trovata con accanto lo scheletro del neonato. La collezione antropologica egiziana, da cui provengono gli esemplari esposti, è la quarta nel mondo per importanza, con materiali provenienti dalla necropoli di Assiut e Gebelen, scavati personalmente da Marro negli Anni Venti e Trenta. Dello stesso Marro sono state stampate un centinaio di immagini degli scavi, ricavate da lastre fotografiche dell'epoca, conservate negli archivi del museo. Curiosa e inquietante infine la scultura, già nota, opera di un artista paranoico, ricoverato agli inizi del secolo nel manicomio di Collegno. Un delirio, un groviglio caotico di immagmi antropomorfe, costruito esclusivamente con ossa di pollo provenienti dalla cucina dell'ospedale, battezzato ermeticamente dallo stesso autore «Nuovo Mondo». La mostra resterà aperta fino al 26 luglio, orario 16/18. Chiuso il lunedì. Visite guidate su prenotazione: 011/56.21.284. Telefono del museo: 011/812.23.74. Renato Scagliola L'antropologo Alberto Salza lo presenta domani a GiovedìScienza In alto a sinistra lo Zemi de Algodon (Zemi di cotone, in spagnolo), prezioso reperto della cultura Taino. A destra la lastra della Tac che mostra il cranio umano e la pietra contenuta nel torace
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