Quando non c'era il telescopio di Piero Bianucci

Quando non c'era il telescopio GLI ANTICHI E IL CIELO Quando non c'era il telescopio L'archeoastronomia, una scienza in crescita PIERRE Simon de Laplace ebbe l'avventura, nel 1784, di interrogare il quindicenne Napoleone Bonaparte all'esame di ammissione alla Scuola reale di artiglieria. Il ragazzo superò la prova e si trovò così aperta la carriera che lo avrebbe fatto diventare imperatore dei francesi. Nel 1796 Laplace pubblicò l'«Esposizione del sistema del mondo» e a sua volta venne interrogato da Napoleone. Come mai - gli domandò il generale in quel trattato la parola Dio non compare neppure una volta? «Non ho bisogno di questa ipotesi», rispose lo scienziato. Saputolo, Lagrange avrebbe commentato: «Si tratta pur sempre di una bella ipotesi». Il famoso duplice aneddoto è riportato nella «Storia dell'astronomia» di Laplace che Mario Cavedon e Massimo Capaccioli hanno curato per la Cuen (132 pagine, 10 mila lire). Ed ecco come inizia il Compendio di storia dell'astronomia che Laplace pose al termine dell'Esposizione del sistema del mondo: «In tutti i tempi lo spettacolo del cielo dovette richiamare l'attenzione degli uomini, soprattutto in quei climi felici in cui la serenità dell'aria invita all'osservazione degli astri. Poiché per le necessità dell'agricoltura occorreva distinguere le stagioni e fissarne il ritorno, non si tardò a riconoscere che la levata e il tramonto delle stelle principali - il momento in cui s'immergono nei raggi del Sole, o quando ne emergono - potevano prestarsi allo scopo. Questo genere di osservazioni risale perciò presso tutti i popoli a tempi in cui si perdono le loro stesse origini». Le parole di Laplace pongono le basi dell'archeoastronomia, scienza giovane, generata, come dice chiaramente la parola, dal mescolarsi di cromosomi astronomici e archeologici. In effetti l'osservazione del cielo nasce da esigenze pratiche: la misura del tempo, l'orientamento in mare, la ritualità religiosa, le previsioni astrologiche. L'archeoastronomia si occupa di tutto questo, con particolare attenzione agli aspetti sociali, ma può anche rendere un servizio utile all'astronomia moderna: basti ricordare che le antiche osservazioni di super nove sono preziose per gli astrofisici, e che le testimonianze su eclissi di Sole del lontano passato ci forniscono dati sul rallentamento della rotazio ne terrestre e su un fenomeno complesso come il lento allontanarsi della Luna dalla Terra (dovuto alle maree, ma spiegabile completamente solo con la relatività generale di Einstein). Due libri freschi di stampa portano ora nuovi e utili contributi all'archeoastronomia. Il primo, curato da Christopher Walker e con una prefazione di Patrick Moore, è intitolato «L'astronomia prima del telescopio» (Edizioni Dedalo, 510 pagine, 50 mila lire). Contiene saggi di una ventina di autori; quello che apre il volume, di Clive Ruggles, smitizza l'interpretazione di Stonehenge come «osservatorio dell'età della pietra». Il secondo libro è «L'astronomia dei Celti» di Adriano Gaspani e Silvia Cernuti (Keltia Editrice, 175 pagine, 25 mila lire): finora è lo studio più approfondito sulla conoscenza del cielo da parte di questo popolo quale si può ricavare dall'esame di monumenti, monete e incisioni. Piero Bianucci UN ASTROLABIO madre - equatore almucantarat lìnee -Jg di uguale /4l azimut /jjì'i rete perforata (o aranea) -i cerchio j dell'eclittica linea dell'orizzonte indicatori delle stelle lamina " ' con coordinate PI linee degli angoli orari — polo nord celeste

Persone citate: Adriano Gaspani, Christopher Walker, Clive Ruggles, Einstein, Keltia Editrice, Mario Cavedon, Napoleone Bonaparte, Patrick Moore, Pierre Simon De Laplace, Silvia Cernuti