SUL PONTE DEL PIROSCAFO LA TRAGEDIA AL RALLENTATORE

SUL PONTE DEL PIROSCAFO LA TRAGEDIA AL RALLENTATORE SUL PONTE DEL PIROSCAFO LA TRAGEDIA AL RALLENTATORE EOI, calate le scialuppe in mare, iniziò il rumore assordante di piatti che si rompono, specchi che s'infrangono, oggetti scaraventati, tutto che all'interno del transatlantico sempre più inclinato a muso in giù cade e va a sbattere. Poi le urla dei tantissimi che sono caduti, o si sono gettati in mare, nell'acqua gelida, le suppliche a chi è stille scialuppe di tirarli su, salvarli. E il silenzio, di nuovo, di chi forse è in salvo. Come tutti, Keller (già autore di analogo libro sulla gloria della Coca-Cola) si chiede perché il Titanic sia diventato, immediatamente dopo il naufragio, un mito. Enumera molte delle possibili ragioni. Ricorda ad esempio come tutti i sopravvissuti abbiano parlato del piroscafo come si fosse trattato di un essere vivente di cui avevano assistito alla lunga agonia. E di come tutti abbiano descritto lo spettacolo, paradossalmente, in termini di ineguagliata bellezza. Tanto da far nascere in chiunque l'inspiegabile ma forte desiderio di vivere la stessa esperienza: aver preso parte al naufragio, a quell'immane tragedia,, pur di averlo visto tanto terribile meraviglia. Keller ricorda tutti gli interrogativi irrisolti, relativi alla vicenda (altra ragione del mito). Perché furono fatti salire sulle scialuppe solo donne e bambini? Perché tanti posti vuoti su imbarcazioni che avrebbero potuto salvare molta più gente? Perché il viaggio stesso, se la nave non era ancora stata provata? E come si spiega quel ro¬ manzo del 1898, Futility di Morgan Robertson, che raccontava di un naufragio assolutamente identico, di un transatlantico di nome Titan? Perché la scelta di tanti passeggeri (1500 le vittime, 700 i salvati) di restare a bordo? Perché la musica? Al mito contribuiscono enormemente due fatti. Che il relitto continui a giacere sul fondo dell'Oceano a quattromila metri di profondità (Keller - svizzero parceggia per gli americani contrari al recupero, contro i francesi che hanno sempre cercato la commercializzazione dei resti); e che il luogo dell'evento 41° 46' di latitudine Nord, 50° 14' di longitudine Ovest - non esista altro che in maniera astratta. Fu Joseph Boxhall, quarto ufficiale di bordo, a cal¬ colare la posizione immediatamente trasmessa con il messaggio di SOS. Punto sul globo, definito dalle sole coordinate. Nonluogo. Lì, Boxhall chiese che una volta morto (morì nel 1967) le sue ceneri fossero disperse: nell'ideale centro del mito. Peccato, invece, la copertina del libro. E' un'elaborazione grafica di un disegno del Titanic, cinque fotogrammi che ritraggono il piroscafo nel suo progressivo inabissarsi. Ma il mare vi figura mosso, mentre era un olio. E il Titanic è fatto sparire orizzontalmente al filo dell'acqua, mentre chi c'era vide «levar la poppa in suso e la propra ire in giù, com'altrui piacque». Perché violare un mito? Gabriella Bosco Edward J. Smith, il comandante del Titanic La tragedia dell'aprile 1912 rivive ora nel film di James Cameron

Persone citate: Gabriella Bosco Edward, James Cameron, Joseph Boxhall, Keller, Morgan Robertson