SE VUOI CURARE L'ANSIA ASCOLTA IL DOLORE

SE VUOI CURARE L'ANSIA ASCOLTA IL DOLORE SE VUOI CURARE L'ANSIA ASCOLTA IL DOLORE La lezione di Borgna, psichiatra-filosofo O letto il libro di Eugenio Borgna Le figure dell'ansia di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, nel corso del quale alcuni psichiatri mi confidavano di aver ormai risolto tutte le controversie teoriche relative alla comprensione della psiche umana, in quanto ogni sintomo di sofferenza veniva ricondotto ad una patologia clinicamente osservabile, ragion per cui si trattava soltanto di perfezionare una tavola di corrispondenze tra disturbi del comportamento e alterazioni biochimiche del cervello, unita alla ricerca di cocktails sempre più efficaci da parte dell'industria farmaceutica. Di fronte a qualche mia domanda sull'utilizzo di modelli interpretativi, la risposta era un sorriso amabile che ne decretava l'irrilevanza. Di fronte allo strapotere attuale delle neuroscienze in psichiatria e alla crescente popolarità di alcuni psicofarmaci (a cui si ispirano ormai anche complessi musicali), il libro di Borgna costituisce un efficace antidoto, soprattutto in ragione di quel pensiero della complessità costantemente vigile nei confronti di ogni ricorrente semplificazione organicista, che riduce ogni disagio psichico ad una malattia cerebrale. «In psichiatria - scrive l'autore non si ha a che fare con "malattie" ma con persone che sono immerse nel dolore e nella sofferenza, e che, prima di ogni altra cosa, chiedono disperatamente di essere ascoltate e di essere accettate nella loro debolezza e nella loro alterità». La considerazione della complessità a cui Borgna fa appello esprime dunque l'esigenza di una trasformazione della psichiatria da scienza nomotetica e razionalista (generalizzante e dunque astratta) a scienza idiografica e intuitiva, attenta cioè a preservare nella sua alterità l'irriducibile singolarità dell'esperienza biopatica, in cui il soggetto si trova smarrito ed inquieto di fronte ad una inattesa vulnerabilità che sembra scardinare ogni certezza acquisita. Muovendosi nel solco tracciato da Jaspers e Binswanger, ogni psi¬ copatologia che non voglia configurarsi come mera applicazione di biotecnologie dovrà dunque attingere a questo sapere dell'individuale, che potrebbe ovviare a quelle che l'autore definisce le «diserzioni della psichiatria». Nella psichiatria fenomenologica ed esistenzialista non vi sono più protocolli invarianti, standard terapeutici codificati, in quanto ci si avvale soltanto della capacità di ascolto, di osservazione e di interpretazione dei segni emozionali colti nello sguardo pietrificato dal dolore. Il medico deve innanzitutto somministrare al paziente generosa disponibilità e solidale empatia, offrendola come modalità d'apertura all'essere-altro. Si può cogliere anche mi risvolto stilistico di questa svolta radicale praticata da Borgna: il suo non è un trattato sull'ansia, ma una narrazione polifonica, sapientemente orchestrata, in cui vengono evoca¬ te le voci dei pazienti straziate dalla sofferenza insieme a quelle più rarefatte della psicopatologia teorica. Meditando sulla propria esperienza come responsabile del Servizio di Psischiatria dell'Ospedale Maggiore di Novara, Borgna ha scritto un libro di vertiginosa densità concettuale e metaforica che presuppone una profonda cognizione del dolore. Il presupposto di tutto questo discorso è che l'ansia - la quale non è mera paura di qualcosa né impalpabile angoscia metafisica appartenga al mondo della vita, dimensione ineludibile del nostro progetto esistenziale, causa di malessere ma al contempo risorsa di creatività. L'espressione dell'ansia è assai mutevole, camaleontica, spesso dissimulata in atteggiamenti che tentano di neutralizzarla per renderla irriconoscibile allo sguardo severo e impietoso delle persone sane; inoltre, come ogni stato di sofferenza, essa non è mai un dato di fatto, perché il soggetto continuamente la reinterpreta, ne rielabora il vissuto, la trasfigura nello spettro cromatico della propria fragile sensibilità. Quasi sempre il disturbo ansioso segnala una dolorosa disattivazione del vitale rapporto tra il mondo degli affetti e il mondo dei significati, una disarmonia innanzitutto con se stessi prima che con il mondo esterno che si traduce spesso in un difetto di autostima. Ed è su questo punto che la mera, impersonale, prescrizione di psi- cofarmaci si rivela inefficace, se non dannosa: si tratta invece di stabilire un dialogo partecipe tra medico e paziente capace di istituire - secondo la felice espressione di Borgna - «una comunità di destino emozionale»; che funga da prototipo per ogni auspicabile ricostituzione di quel tessuto relazionale che si era venuto lacerando, riattivando quell'affettività turbata e riconfigurando quegli orizzonti di senso che si erano resi opachi. L'ansia non va dunque interpretata come riflesso di una lesione cerebrale ma come sintomo di una sofferta e problematica modalità di essere nel mondo, di articolazione della nostra originaria situazione emotiva: in questa accezione esistenzialista dell'esperienza ansiosa, si dovrà ancora far ricorso al pensiero di Kierkegaard che considerava l'angoscia come «vertigine della libertà», abissale scon¬ finamento nel regno della possibilità, e a quello di Heidegger che ne coglieva il fondamentale significato ontologico di angoscia per il nulla, che deriva dalla attestazione cosciente del nostro essere-perla-morte, al cospetto cioè del «poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile». Questo sentirsi spaesati, unhnmlich, non a casa propria - in cui viene identificata la situazione emotiva dell'angoscia - è un'esperienza giudicata da Heidegger assai rara, in parte neutralizzata da mia serie di strategie consolatorie o diversive: per lo più non si ha il coraggio dell'angoscia davanti alla morte. In questa chiave di lettura, il soggetto psicopatico sarebbe colui che vive autenticamente l'esperienza tragica del limite, dell'abbandono e del dolore, come sembra suggerire anche Simone Weil (più volte citata dall'autore), secondo la quale la sofferenza è l'essenza della realtà a cui corrisponde ima totale assenza di significato. Di qui potrebbe forse scaturire un elemento problematico: se si aderisce ad un pensiero tragico che è contemplazione di contraddizioni insolubili, fondato su una immedicabile lacerazione del reale, come si può poi argomentare a favore delle virtù terapeutiche del dialogo ermeneutico, fondato invece sulla fusione di orizzonti comunicativi? Nella densa stratificazione di riferimenti, prima ancora che ai filosofi, Borgna si richiama ai poeti e agli artisti che hanno saputo conferire un senso al male di vivere: Leopardi e Baudelaire, la Dickinson e Trakl, il supremo cantore dell'angoscia di morte (O die Nàhe des Todes»); Kafka e Rilke (quello dei Quaderni di Malte) ma anche Carpaccio e Munch; infine il cinema inquietante di Dreyer, Bergman e Bresson. In tutti questi casi, l'angoscia - dispotica e sinistra per Baudelaire - è «trasfigurata dalla grazia della forma» e pertanto può apparire (agli occhi dello psichiatra ma anche di chi soffre) come trascesa, cioè compresa e interpretata, dunque almeno in parte acquietata, ricondotta entro una configurazione di senso che la riscatta dalla sua terribile e assurda insorgenza. Come ha scritto Canetti, «a volte cade un nome in questo spaventoso deserto, e ogni granello di sabbia fiorisce». Marco Vozza Da Kierkegaard alla Weil, da Leopardi a Bergman: un antidoto contro chi vuol ridurre il disagio psichico a malattia cerebrale da guarire coi farmaci LE FIGURE DELL'ANSIA Eugenio Borgna Feltrinelli pp. 260 L. 36.000 Eugenio Borgna, responsabile del Servizio di Psichiatria dell'Ospedale Maggiore di Novara, pubblica da Feltrinelli il saggio «Le figure dell'ansia».

Luoghi citati: Novara, Stati Uniti