«La mia vita da schiava pagata duemila lire l'ora»

«La mia vita da schiava pagata duemila lire l'ora» «Avevo 14 anni, nove ore al giorno al banco per confezionare maglioni e camicie» «La mia vita da schiava pagata duemila lire l'ora» IL CASO IL LAVORO IN NERO DEI MINORI PBRINDISI AOLA ora è grande, ha 22 anni, ma in fabbrica entrò per la prima volta a 14, subito dopo le scuole medie. Fu una libera scelta. «Non me lo imposero i miei genitori, non volevo più studiare. Un giorno mi presentai dal proprietario di una ditta di confezioni. Fui presa. Duemila lire l'ora. Facevamo maglioncini e camicie. Ci rimasi per due anni, nove ore al giorno». Poi per cinque anni un'altra fabbrica. «Mi davano mille lire in più». Ancora oggi, dice, «ragazzine di 13-14 anni lavorano per 5 mila lire l'ora. Ma non si lamentano, non parlano, temono di perdere il lavoro e quei pochi soldi. Si accontentano di quelli». Distribuite nei paesini della provincia di Lecce ci sono più di mille aziende tra tessili e calzaturiere. In uno di questi paesini Paola ha ora trovato un lavoro vero, paga contrattuale e persino la tessera del sindacato. Caterina non sa neppure cos'è. Un giorno di tre anni fa i carabinieri entrarono in uno scantinato in cui, con una ventina di ragazzine, cuciva camicie. Neppure una finestra, dodici ore di lavoro quotidiano per 10 mila lire. Francavilla Fontana, provincia di Brindisi, è diventata il sunbolo dell'Italia del lavoro nerissimo. Tutti ricordano ancora. «Ma quello non è un imprenditore, è uno così». Lo arrestarono per riduzione in schiavitù. Ora ha aperto un'altra camiceria. A Lizzanello (Lecce) ragazzine lavoravano in un capannone. Era una stalla. Chi ci mandava i figli, sapeva. Ma si giustificava così: «Lì almeno lavorano, non stanno per strada a fare nulla, e guadagnano qualcosa». Spiega una sindacalista, Teresa Bellanova della Cgil: «Impossibile avere contatti con le fami glie. Sfuggono». Tra Lecce e Brindi si, nel tacco d'Italia, aziende legali si alternano a ditte fantasma che spesso cambiano nome e scantinato. Ci sono i grossi nomi, l'Antonio Filograna, l'Adelchi Sergio, magnati delle calzature che a Casarano Tricase hanno costruito un impero, e la Stefano Sternativo, che a Francavilla metteva le bimbe nello scan tinato. Confezionavano camicie che finivano al Nord. Per la gran parte qui sono «fago nisti». La grande marca ordina consegna modello e stoffa, loro cu ciono soltanto, poi ci attaccano l'etichetta, la griffe. Su molti capi firmati si potrebbe leggere «Made in Francavilla», «Made in Galatina» come sui giocattoli si legge «Made in Taiwan». Dice un imprenditore francavillese: «Se chiedi un prezzo giusto, equo, non lavori. Un anno fa, ma non scriva il mio nome, altrimenti chiudo bottega, ottenni una commessa da una società del Nord, 30 mila camicie. Chiesi un ritocco del prezzo. Nessun problema, lo ottenni. E' stato quello l'ultimo anno. Lo stesso lavoro oggi lo ha preso un altro confezionista, con lo sconto. Non so come faccia a stare nei costi». Ma non bastano Paola e Caterina a spiegarlo? A Lecce oltre 300 aziende hanno sottoscritto accordi di riallineamento, accettando cioè di applicare gradualmente i contratti nazionali di lavoro. In cambio, la legge regala il «colpo di spugna»: azzerate le violazioni del passato. Qualcuno s'è già pentito, perché comunque nel '99 i contratti dovrà applicarli al cento per cento. Qualcuno, invece, non ci pensa. Fallita l'esperienza albanese, con la rivolta che ha raso al suolo le aziende italiane, c'è sempre l'Est europeo. Più giù, la Tunisia. A Martina Franca (Taranto) 500 aziende di confezioni, un piccolo ricco Nord-Est, solo 17 contratti di riallineamento. Un imprenditore ha aperto una fabbrica in Tunisia. Paola e Caterina lì costerebbero troppo. Tra il Nord ricco e il Sud depresso c'è una zona franca dell'intermediazione. «Sappiamo con certezza spiega Gaetano Perrone, sindacalista della Cgil leccese - che nella produzione ci sono a volte quattro, cinque passaggi. La società principale commissiona il capo d'abbigliamento a un'azienda che si rivolge a un'altra azienda che a sua volta si rivolge alle ditte pugliesi. Quindi tra il vero produttore e il cliente ci sono società che guadagnano senza fare nulla. L'ultima della catena fa prezzi stracciati». L'imprenditore francavillese conferma: «So di uno stilista che ha commissionato camicie a un'azienda che non ha neppure una macchina per cucire, e questa s'è rivolta a noi». Sembra un'accusa, o un alibi, o tutte e due le cose insieme. A Francavilla Fontana è sera, i ragazzini lasciano il corso illuminato, sveglia alle 7. I più fortunati, a scuola. Tonio Aitino

Persone citate: Adelchi Sergio, Antonio Filograna, Francavilla, Gaetano Perrone, Teresa Bellanova