Ma gli agguati continueranno di Augusto Minzolini

Ma gli agguati continueranno Ma gli agguati continueranno Riforme nel mirino, lo scontro non è finito SI deve dire ad oggi, perché in una vicenda del genere l'imprevisto è dietro l'angolo per cui da qui alla fine del mese, cioè al giorno in cui l'aula di Montecitorio pronuncerà il suo verdetto, il problema terrà con il fiato sospeso il Palazzo. E tanta apprensione non deve meravigliare. Malgrado tutti i leader, a cominciare da Massimo D'Alema, dicano il contrario, la questione è squisitamente politica. E a renderla tale - va pur detto - sono stati in primo luogo i magistrati di Milano. Chiedere la custodia cautelare di Previti quando è già stata avanzata una richiesta di rinvio a giudizio e - almeno è quanto dicono i pm - sono state raccolte prove schiaccianti sulla sua colpevolezza, sembra più un tentativo di turbare il Parlamento costretto ad esprimersi sulla vicenda che non altro. L'imputato Previti, infatti, non può ostacolare delle indagini che hanno già fatto maturare al Pool un preciso orientamento e sul piano del diritto non sta scritto da nessuna parte che qualcuno, cittadino o deputato poco importa, debba attendere il processo in galera. Anzi. Tanto più che alla procura di Milano qualcuno pronostica un giudizio di primo grado già entro la fine dell'anno. «Sotto certi aspetti - osserva Luigi Saraceni, uno dei deputati pidiessini più dubbiosi sull'opportunità di dire sì alla richiesta d'arresto sarebbe stato perfino più logico che i giudici milanesi avessero chiesto l'arresto di Berlusconi, dato che le indagini sul suo conto sono ancora in corso...». Se sul piano del diritto la richiesta d'arresto suscita perplessità, sul piano politico un atto del genere risponde invece ad una logica cartesiana: è il tentativo di destabilizzare un Parlamento che si accinge ad approvare le arcinote riforme. Riforme - non è un segreto - che apportano delle modifiche all'ordinamento giudiziario che non piacciono ai magistrati, in particolare ai magistrati di Milano che per bocca del procuratore Borrelli hanno comunicato il loro dissenso in tutti i modi. Del resto perché una categoria che, al di là dei meriti avuti, ha fatto in questo Paese il bello e il cattivo tempo negli ultimi due anni, ha decapitato un'intera classe dirigente, ha disfatto governi e imprese, dovrebbe rinunciare al potere e rientrare nei ranghi senza tentare una minima resistenza? Che il problema in realtà sia questo se ne sono resi conto in molti. Gianfranco Fini lo ha detto apertamente, personaggi come Oscar Luigi Scalfaro e Luciano Violante lo hanno fatto capire. Lo stesso Massimo D'Alema, quando elogia Scalfaro per il suo discorso di line anno («un discorso splendido e sacrosanto» arriva a dire in privato) e, sdrammatizzando, riduce la questione Previti alla domanda «è necessario e utile arrestare Previti ai fini dell'inda¬ gine che lo riguarda?», sembra porsi lo stesso problema usando i suoi modi: anche per il segretario del pds l'arresto di Previti sarebbe una disgrazia sul piano politico, ma D'Alema vuole evitarlo senza essere costretto ad aprire una bat taglia con il cosiddetto «giustizialisino» di sinistra, che ha i suoi rappresentanti in Parlamento e fuori. Ora, se sul «caso Previti» l'at- teggiamento di D'Alema potrebbe essere pagante, è difficile che il segretario del pds possa portare a casa le riforme senza accettare, presto o tardi, quel confronto. Il caso Previti è solo uno deiproblc mi o, meglio, è solo la prima di una serie di mine che il partito della bicamerale - se si può ribattezzare così - si troverà di fronte nei prossimi tre mesi. Lo schieramento che vuole far saltare l'accordo, infatti, è composito e variegato ma ha in comune lo stesso obiettivo. Se i pm milanesi agitano il «caso» Previti - e c'è il cosiddetto partito dei giudici che con l'ingresso di Di Pietro in Parlamento pensa di poter rimettere in discussione la parte dell'intesa che riguarda la giustizia - c'é anche una parte del mondo politico che rilancia l'idea del premier eletto direttamente (da sindaci come Rutelli e Bianco, a personaggi come Mario Segni e Francesco Cossiga, a Buttigliene, allo stesso vicepresidente del Consiglio Veltroni). In sintesi: chi non ha avuto parte nell'accordo, o si è dovuto accontentare di un inolo ridotto, vuole azzerare tutto. Il che in questo momento equivale a dire meglio nessuna riforma che questa riforma. Insomma, per i quattro contraenti del patto della bicamerale si prepara un percorso di gueira che durerà tre mesi. In questi 90 giorni dovranno fare fronte ad una vera e propria guerriglia parlamentare che punterà solo a distruggere e ad ostacolare l'accordo in tutti i modi. Ecco perché, anche se le previsioni di oggi dicono che la Camera respmgerà la richiesta d'arresto di Previti, non è detto che non succeda l'imprevisto. Basta pensare a Rifondazione che, dopo aver criticato duramente la candidatura di Di Pietro su tesi garantiste, ora si schiera per l'arresto di Previti non solo per motivi elettorali, quanto nell'mtento di far saltare l'accordo della bicamerale. Una strada che potrebbe essere seguita anche dalla Lega. Ecco perché - in fondo in fondo - i tanti problemi di questi mesi si riducono ad un solo problema: alla battaglia tra chi vuole le riforme e chi, invece, non vuole porre fine alla transizione italiana. Augusto Minzolini

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