«Tannhäuser» a Napoli la grande sfida di Herzog di Sergio Trombetta

«Tannhäuser» a Napoli la grande sfida di Herzog «Tannhäuser» a Napoli la grande sfida di Herzog NAPOLI. «Tannhàusen) è un'opera miracolosa. Nel film «La tentazione di Venere», di Istvan Szabo, faceva fiorire di bianchi gigli la bacchetta del direttore d'orchestra nel travolgente finale (del melodramma e del film). Neinostri teatri lirici l'opera di Wagner ci fa assistere invece alla moltiplicazione delle prime italiane. Questo prezioso «Tannhàusen» con la regia di Werner Herzog che venerdì inaugura la stagione del San Carlo di Napoli, in prima italiana, arriverà infatti il 19 giugno, sempre in prima italiana, e con la stessa annunciata regia di Herzog, al Massimo di Palermo. Entrambi i teatri, San Carlo e Massimo, annunciano poi la collaborazione con il Teatro della Maestranza di Siviglia, dove l'opera ha debuttato ad ottobre con grandissimo successo. Complimenti agli spagnoli: riescono a vendere due volte lo stesso spettacolo nello stesso Paese. Oltre alle doti miracolose, «Tannhàusen) ha l'acclamatissima direzione del regista di «Aguirre», «Fitzcarraldo», «Nosferatu». Herzog da sempre impegnato a raccontare sullo schermo passioni estreme, ^arrivabili imprese, mvincibib gare fra l'uomo e la natura, si cimenta qui con un'altra passione assoluta: il tormentato amore del trovatore Tannhàuser per la lussuriosa Venere e per la santa Elisabetta. Questa volta, Herzog gioca a sottrarre: «Il libretto di ''Tannhàuser'' non ha una storia - ha dichiarato il regista - l'azione è minima, il dramma è quasi tutto spirituale, di una profonda religiosità. Per questo la scenografia è ridotta a pochi elementi, mentre la luce e l'aria sono fondamentali: perché sia possibile apprezzare le anime dei personaggi». Quindi, fondali neri, teli bianchi mossi da innumerevoli ventilatori, costumi bianchi e neri ad esclusione di quello Tossissimo di Venere: simboli al loro stato puro. L'opera è un amore che il regista coltiva da molti anni e che non lo stanca mai: «Per me è un divertimento, non vero lavoro. E poi non ci vado mai, preferisco giocare a pallone». I teatri lirici comunque li frequenta. Non fosse altro che per allestire spettacoli. Incomincia nel 1985 a Bologna con «Doktor Faustus» di Busoni, diretto da Pesko, la carriera lirica di Herzog. Prosegue nell'87 a Bayreuth con un «Lohengrin» prima fischiato e poi applauditissimo. Non si dimentica il suo, apprezzatissimo dalla critica, «Flauto magico» al Bellini di Catania. «Norma» all'Arena di Verona l'ha fatta perché affascinato dalla vastità del luogo. «Guarany», a Bonn e a Washington, con la direzione di Placido Domingo, è un tornare sui passi di Aguirre e Fitzcarraldo: il melodramma di Carlos Gomes, è ambientato in Brasile ai tempi della conquista spagnola. Nel futuro c'è La Scala con un «Fidelio» che aprirà la stagione del 1999. Ad unire cinema e lirica non ci pensa: «E' un matximononio che non ha mai funzionato e non funzionerà mai. Alcuni registi hanno filmato con competenza alcune opere. Tutto qui. Sono due forme emozionali distinte. Quando mi occupo d'opera mi dimentico totalmente del mio mestiere di regista cinematografico». Ma intanto, grazie ad Herzog, il cinema entra al San Carlo. Domani, infatti, alle 19,30 in teatro sarà proiettato «Fitzcarraldo». Alla serata parteciperà il regista che, al termine del film, sarà intervistato da Valerio Caprera. «Tannhàuser», diretto da Gustav Kuhn, con scene di Maurizio Baiò e costumi di Franz Blumauer, intepretato nei ruoli principali da Alan Woodrow, Mariana Pentcheva, Gertrud Ottenthal, si replica sino al 20 gennaio. Sergio Trombetta